E se sulla Commissione europea si stesse diffondendo un abbaglio collettivo? Se cioè politicizzarla più di quanto lo sia ora fosse un errore? So di buttare un sasso in uno stagno, ma il dibattito su cosa debbano essere le istituzioni europee del futuro è una questione che corre molto sotto traccia, ne discutono studiosi saggi e severi, ma non è pane quotidiano qui a Bruxelles. Qui si parla solo del fatto se il Parlamento abbia diritto a indicare lui al Consiglio chi deve essere il presidente della Commissione. Una discussione riduttiva e per questo anche dannosa, che non è chiaro dove porti, visto anche lo scarsissimo richiamo esercitato sui cittadini dai candidati loro offerti dai partiti, che proprio la partecipazione avrebbero dovuto stimolare.
Certo, solo da pochi anni si è varato un grande rinnovamento chiamato Trattato di Lisbona, alcuni poteri sono stati redistribuiti, ma troppe cose ancora zoppicano, in particolare quando arriva una crisi, ed è evidente che anche la semplice storia, il semplice passare del tempo ha posto le attuali istituzioni europee in una posizione di ritardo rispetto alle necessità. Il dibattito che si sente ora è solo “più potere al Parlamento”, cosa che, in se, è certamente condivisibile, ma le domande son tante: più potere in che settori? Per fare cosa? Su che basi di accordi di maggioranza e opposizione? Come si garantirebbe l’indipendenza dei deputati di loro partiti nazionali? Basta il lavoro che, egregiamente, sta conducendo anche la Commissione Barroso per favorire la nascita di veri partiti europei (e non di associazioni di partiti nazionali, come è ora)? Queste sono solo alcune delle domande che dobbiamo porci.
Non sono un costituzionalista e vorrei dunque circoscrivere questo mio intervento ad un solo elemento che oggi è sulla bocca di tutti (a Bruxelles e nelle cancellerie, i cittadini europei sembrano piuttosto disinteressati, e questo è un altro tema da approfondire): di cosa, di chi, deve essere espressione il presidente della Commissione europea (e con lui i commissari) e a chi e come deve rispondere. Quel che deve fare lo si sa, ed è questione che può restare intatta al momento, non è lì il problema. O almeno non lo è fino a quando l’esecutivo comunitario non usa una interpretazione politica dei suoi compiti. E qui sta il nocciolo del problema: la Commissione europea è un organo eminentemente politico o eminentemente tecnico? Si dice che è, come prima qualifica, “guardiana dei Trattati, cosa che lascerebbe poco spazio alla politica ma piuttosto sembra indirizzare quei Ventotto commissari (che sono troppi, diciamolo) a svolgere mansioni di pura finalizzazione di scelte fatte dalla politica. Ora, è chiaro che non si può negare che un po’ di politica ci debba essere comunque, chiunque ha un pensiero politico, almeno lato sensu, e a quel livello di responsabilità molto spesso una scelta non è solo tra una chiave inglese o una chiave a stella, ma produce effetti politici, è evidente.
Potremmo dunque immaginare che il potere politico risieda nei due organi che più esplicitamente politici sono proprio nella loro composizione, l’uno perché eletto direttamente dai cittadini e l’altro perché espressione di governi anche loro eletti dai cittadini. Non è una questione democratica, sia chiaro, la Commissione è perfettamente e democraticamente legittimata a svolgere i suoi compiti. Però troppa politica può uccidere il paziente, se tutti fanno politica chi si occupa poi di scegliere i migliori metodi di somministrazione, ad esempio tra sciroppo e compressa, per il principio attivo che sarà stato indicato come miglior cura dalla politica? Una sana divisione dei compiti: le ragioni degli Stati elaborate e portate a sintesi in Consiglio, quelle dei cittadini rappresentate in Parlamento e quelle della, diciamolo anche se in Italia la parola fa paura, della “tecnica” in Commissione? Perché, mi domando senza avere al momento una risposta, il presidente della Commissione deve essere un politico di prestigio, magari caduto in disgrazia nel suo Paese come Juncker o senza prospettive di carriera come Schulz, oppure un ex premier come Blair (dico un nome a caso) o anche un premier in carica, ma di un paese piccolo, come la danese Thorning-Schmidt, o come è stato Barroso?
Quella che ebbe la presidenza di Delors (raddoppiata in due mandati per entusiasmo e non per mancanza di idee come quella di Barroso) è stata probabilmente (al netto di grandi iniziative singole come l’allargamento deciso con Prodi) la miglior Commissione che si ricordi. Diede un grande impulso innovativo, seppe convincere delle proprie ragioni governi e Parlamenti, cambiò l’Europa. E non era composta di eminenti politici, non era espressione del Parlamento, ma aveva disegnato su se stessa un ruolo “tecnocratico”, che la poneva in un territorio suo nel quale poteva agire senza essere (troppo) disturbata da tensioni e ambizioni politiche.