A noi Matteo Renzi piace. Ci piace il tono serio e autorevole della risposta cha ha dato ai deliri neoliberisti del famigerato governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, l’unico governatore di una grande banca centrale al mondo, almeno per quanto ne sappiamo noi, che crede ancora che la creazione di moneta da parte di una banca centrale – cioè una politica monetaria espansiva di tono neokeynesiano come quella che hanno adottato gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Giappone –, sia opera del demonio, di Mefistofele in persona. D’altra parte, se Weidmann sapesse leggere correttamente il Faust, il grande capolavoro del suo connazionale Goethe, troverebbe che è vero che Mefistofele suggerisce all’imperatore del Sacro Romano Impero di creare moneta dal nulla, con un’opera di magia, per uscire dalla crisi in cui versa il regno, ma gli effetti sono positivi, con grande soddisfazione dell’imperatore e dei suoi sudditi.
Ci colpisce di Renzi soprattutto il fatto che grandi giornali internazionali come il Financial Times – da sempre contrari alle politiche di austerity della Machtfrau, la signora Angela Merkel –, facciano spudoratamente il tifo per lui. Siamo rimasti molto stupiti, venerdì scorso, dopo aver guardato la partita Brasile-Colombia, aprendo casualmente la app del Financial Times, di trovarvi già il pezzo, scritto alle 16:46, che sarebbe poi apparso nell’edizione di sabato, in cui si riportava come Renzi avesse dato una bella e giusta bastonata in testa al potente capo della banca centrale tedesca, accusandolo di intervenire in modo improprio nelle faccende politiche italiane. “L’Europa appartiene ai cittadini europei, e non ai banchieri italiani o tedeschi”: musica per le nostre orecchie questa frase di Renzi, noi che orgogliosamente ci sentiamo semplici cittadini europei, oltre che italiani, senza nessun potere e nessun altro modo di poter influenzare l’opinione pubblica mondiale se non attraverso le parole del nostro giovane primo ministro. Nessuna definizione potrebbe essere stata più precisa per uno come Weidmann di “old, boring auntie”, che anche i bambini sono in grado di immaginare correttamente cosa significhi, anche se in italiano noi preferiamo dire “noioso come una vecchia zitella”.
Sull’attacco a Renzi del capo dei popolari, Manfred Weber (immediatamente ribattezzato sui social italiani “capo con riporto”) – che ha rimproverato il primo ministro italiano solo perché aveva detto che l’Unione europea dovrebbe fare di più per aiutare i paesi a riprendere a crescere, totalmente e quasi autisticamente indifferente al fatto che Renzi parlava da capo del governo di uno stato in cui il reddito dei cittadini è crollato quasi del 10% dal 2007, mentre com’è noto quello della Germania è tornato ai livelli pre-crisi già dal 2011 –, pensiamo che sarebbe superfluo commentare.
Per tutto questo anche noi facciamo sinceramente il tifo per lui. Secondo noi, il nostro giovane primo ministro non ha ancora realizzato in pieno le potenzialità che gli si spalancano davanti in Europa. Sarebbe bene, a questo punto, cominciare a riflettere seriamente sulle strategie da adottare per contrastare la miope arroganza tedesca sulle politiche necessarie per far ripartire la crescita e lo sviluppo in Europa, ma soprattutto nel nostro paese, il più penalizzato in assoluto tra tutti i grandi paesi occidentali dalla crisi finanziaria iniziata oltreoceano nel 2008.
Per tutte queste ragioni troviamo che sia stata sbagliata la mossa del nostro ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, di scrivere un articolo a doppia firma con il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble in cui avventatamente dichiara che “Berlino e Roma sono d’accordo su quale dovrebbe essere l’agenda economica europea”. Un tentativo in linea super-montiana – scontatissimo tra l’altro – di rassicurare i famigerati mercati finanziari. Avrebbe dovuto tener conto di quello che dice Renzi, e che cioè l’Europa appartiene ai cittadini e non ai banchieri. Tra l’altro Renzi ha ottenuto il suo risultato alle elezioni non certo promettendo di continuare sulle linee di austerità delineate da Schäuble. Non è vero quello che viene affermato nell’articolo e che cioè “la buona novella è che la crisi è ormai alle nostre spalle e una ripresa economica è in corso”. Questa analisi sarà senz’altro vera per la Germania ma non per l’Italia, dove per raggiungere lo stesso livello del Pil del 2007 ci vorranno almeno 10 anni, a meno che l’economia non si rimetta a correre, cosa che non si vede. È poco saggio, secondo noi, affermare congiuntamente: “Noi crediamo che lo sviluppo può essere raggiunto applicando in pieno gli esistenti patti fiscali”. Ma come può sostenere questa tesi, signor ministro? Non lo sa che all’infuori della Germania (e dei suoi stati amici come l’Olanda e la Finlandia) non ci crede più nessuno a questa tesi? Tutti siamo d’accordo che sono necessarie riforme strutturali in Italia – se per queste intendiamo semplificazione e trasparenza del mercato del lavoro, disboscamento della nostra assurda burocrazia, più certezza e tempi veloci per la giustizia, ecc. – ma da economista lei dovrebbe sapere che nel breve periodo queste riforme non porteranno nessun apporto alla crescita. Per rilanciare la domanda e l’economia noi abbiamo bisogno di politiche espansive come quelle che raccomandava all’Università La Sapienza di Roma, dove lei ha studiato, il suo professore di politica economica Federico Caffè, anche se a noi sembra ricordare – ma forse ci sbagliamo – che lei non fosse un entusiasta del nostro grande keynesiano, e che a Keynes preferisse Marx.