Bruxelles – La riforma del sistema comune di asilo può attendere. Il regolamento di Dublino alla base del sistema europea di gestione dell’immigrazione sarà oggetto di mero dibattito politico, ma i capi di Stato e di governo dell’Ue riuniti a Bruxelles giovedì e venerdì non produrranno niente, neppure dichiarazioni scritte nelle conclusioni che seguono i vertice del Consigli europeo. Fonti vicine al dossier sono certe che sul tema passi avanti non ce ne saranno. Una decisione vera e propria verrà presa in occasione del summit di giugno, e fino a quel momento soluzioni non verranno trovate. Ancora forti le divisioni, con alcuni Stati membri, quelli dell’est Europa, decisi a continuare il muro contro muro sul sistema obbligatorio di quote.
Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, terrà un mini-vertice con gli Stati membri dell’Ue del gruppo di Vysegrad (Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria), ma l’unica concessione che otterrà sarà sul piano economico. “I Paesi del blocco Vysegradi mostreranno solidarietà non in termini di quote ma in termini di impegni per la politica esterna e rimpatri”, ammettono fonti europee. Un ‘contentino’ quello offerto all’Italia, e il massimo che il Paese può pretende su un tema ancora fortemente inviso all’interno del blocco dei Ventisette più uno. Lo schema obbligatorio di ripartizione di migranti in arrivo nell’Unione europea “è ancora divisivo come lo era all’inizio nel 2015”, riconoscono le stesse fonti. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, è deciso a promuovere quanto più possibile un consenso tra i membri dell’Ue, ma “visti gli elementi a disposizione è facile capire quale possa essere il consenso” raggiungibile. Ci sono alcune le capitali, le stesse di sempre, disposte a concedere contributi finanziari piuttosto che farsi carico di richiedenti asilo, e questo è il massimo che l’Italia può ottenere senza correre il rischio di far saltare l’Unione.
Il mini-vertice a sei (con i leader di Italia, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria, ci sarà anche il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker) ha quindi un esito già scritto a meno di colpi di scena dell’ultimo minuto su cui in pochi scommettono. L’unica carta che l’Italia ha è quella di rilanciare il contributo economico, attualmente sembra attorno ai 35 milioni di euro, che il blocco del centro Europa sarebbe disposto a rendere disponibile. Una negoziazione che rappresenta con ogni probabilità l’unica carta che potrà giocare l’Italia per migliorare le propria posizione.
Chi dovrà migliorare la propria situazione è certamente il Regno Unito. I ventisette sono pronti a riconoscere che sono stati compiuto progressi sufficienti per avviare la ‘fase due’ dei negoziati Brexit, quella relativa all’accordo transitorio per l’uscita dall’Ue. Se tutto va bene e venerdì i leader confermeranno che sussistono le condizioni per andare avanti, da gennaio si parlerà di transizione. Per la ‘fase tre’, quella relativa alle future relazioni bilaterali tra i britannici e gli europei dell’Ue, servirà chiarezza. Al governo britannico viene dato tempo fino a marzo per chiarire cos’hanno in mente oltre Manica. “Questa è l’ultima chiamata per Londra per chiarire più in dettaglio quali sono le loro idee per le relazioni future”, mettono in chiaro a Bruxelles. Finora si è sentito parlare di mercato unico e unione doganale in modo vago, troppo vago. L’Ue vuole risposte e ha intenzione di chiederle.