“C’è una altissima probabilità che il Congresso americano voti contro il trattato” di libero scambio tra Ue e Stati Uniti (Ttip). Sono parole che Paolo De Castro, relatore permanente del Parlamento europeo per gli aspetti agroalimentari del Ttip, ha pronunciato ieri in audizione davanti alla commissione Agricoltura della Camera dei deputati. Eunews lo ha intervistato per avere il parere di un osservatore privilegiato sulle reali possibilità che si concluda un accordo. Abbiamo approfondito con lui le tematiche legate al settore agroalimentare. Un ambito nel quale l’interesse europeo a siglare il trattato, secondo De Castro, è altissimo. “Basti pensare che negli ultimi 10 anni c’è stato un aumento del 40% delle esportazioni verso gli Stati Uniti, a fronte di una sostanziale stabilità delle importazioni, e che abbiamo un saldo attivo di oltre 6 miliardi di euro, perché esportiamo per circa 17 miliardi e importiamo per poco più di 10”.
Eunews: Quindi è presumibile che gli americani mirino a riequilibrare il saldo in loro favore?
De Castro: Dubito ci possa essere questa ambizione. Noi siamo importatori di materie prime. È limitata la loro possibilità di crescere in queste esportazioni verso l’Europa. Sono la Cina e l’Asia più in generale i mercati nei quali è in forte crescita l’esportazione americana. L’Europa, vale 10 miliardi di euro per l’export alimentare statunitense. Ma se si pensa che gli Stati Uniti esportano più di 200 miliardi di dollari di prodotti alimentari, si capisce che non è certamente la componente agroalimentare la parte più importante di questo negoziato per gli americani.
E.: Usa e Ue hanno gli stessi obiettivi in questo settore?
D.: Noi vogliamo ridurre le barriere sanitarie. Da parte americana, invece, c‘è un interesse a ridurre le tariffe, perché quelle imposte dall’Europa all’importazione di prodotti americani sono molto alte.
E.: Cosa intende per barriere sanitarie da ridurre?
D.: Molti prodotti hanno problemi a entrare nel mercato americano perché ci sono batteri o ci sono residui di fitofarmaci. Non è che gli Stati uniti, per definizione, sono un paese che dà meno importanza alla sicurezza alimentare di quanto non ne dia l’Europa. Loro sono molto orgogliosi del loro sistema di tutela, e molto più preoccupati di quanto noi riteniamo sulla sanità dei prodotti europei. Ricordiamoci che la Bse (morbo della mucca pazza) l’abbiamo avuta noi, non loro.
E.: Una preoccupazione molto avvertita in Europa riguarda gli ogm. Esiste il rischio di invasione di prodotti americani contenenti ogm che molti temono?
D.: Qui c’è una grande confusione. Sugli ogm, come sulla carne agli ormoni, ci sono regolamenti europei che non potranno essere modificati con dei trattati commerciali. Noi abbiamo detto no all’importazione di carni trattate con gli ormoni. Se il negoziato dovesse mai giungere a un accordo che libera l’accesso alla carne americana con gli ormoni, poi dovremmo modificare il regolamento europeo. Quale Commissione, quale Consiglio e quale Parlamento europeo potrebbe mai dire sì a questo? Allo stesso modo, noi abbiamo un regolamento che riguarda gli ogm, che adesso stiamo ridiscutendo. Non potrà mai essere modificato da un accordo commerciale.
E.: Oltre alla possibilità di coltivare o meno ogm in Europa – questione definita dal regolamento cui lei si riferisce – ci sono timori per l’ingresso di prodotti alimentari americani contenenti ogm, senza per altro garantire ai consumatori europei la possibilità di scegliere consapevolmente, perché nelle etichette statunitensi non è obbligatorio indicare la presenza di ogm. Verrà affrontato questo problema?
D.: Noi oggi importiamo soia e mais ogm dagli Stati uniti, e li importiamo secondo le regole attuali. Non è che ci garantiscano di più di quanto non saremmo garantiti dopo un accordo commerciale. Anzi, l’accordo commerciale potrebbe – magari, se ci riuscissimo – imporre sistemi più garantisti verso i nostri consumatori di quanto non siano oggi. Partiamo da una situazione che non ci piace e l’accordo, forse, ce lo auguriamo, la può migliorare. Come ci auguriamo possa migliorare la tutela dei prodotti tipici.
E.: Sulle imitazioni dei prodotti tipici, nell’audizione a Montecitorio, lei ha distinto tre tipologie: le copie registrate di prodotti tipici, le copie con marchio non registrato e, infine, le imitazioni che evocano prodotti tipici attraverso assonanze dei nomi e elementi grafici delle confezioni. C’è un margine per tutelare le Dop e le Igt da tutte e tre le fattispecie che ha indicato?
D.: Per le prime due, a mio avviso, è possibile individuare delle soluzioni all’interno del negoziato. Lo abbiamo fatto nell’accordo tra Ue e Canada, e speriamo che gli Stati Uniti abbiano la stessa sensibilità del Canada. Altra cosa sono invece le evocazioni, per le quali il problema è molto più complesso e richiede, se mai ne saremo capaci, di convincere gli Stati Uniti ad adottare sistemi di etichettatura più chiara, contrassegnando l’imitazione con un marchio ‘made in Usa’ per chiarire al consumatore americano che non si tratta di un prodotto francese, spagnolo o italiano.
E.: Passiamo al tema della trasparenza dei negoziati. Anche chi appoggia il Ttip ha criticato la gestione poco trasparente. Cosa risponde?
D.: Il negoziato è partito male sotto il profilo della trasparenza, ma adesso mi pare che la commissaria Cecilia Malmstrom stia correggendo questa carenza, dando mandato a essere più aperti possibile anche nei resoconti dei singoli round negoziali. In ogni caso, qualora un accordo si dovesse raggiungere, dovrebbe sempre passare dal giudizio del Parlamento europeo, che ha diritto di veto, e poi deve essere ratificato dagli Stati membri. Quindi il controllo democratico non manca.
E.: Però è un controllo ex post. Non crede che un controllo ex ante, mentre la trattativa è in corso, possa aiutare a chiudere un trattato che abbia maggiori probabilità di essere approvato da Strasburgo e ratificato dai Paesi membri?
D.: Assolutamente sì. Infatti noi siamo promotori di una maggiore trasparenza. Il governo italiano, con la presidenza dell’Ue ha ottenuto risultati importanti: apertura totale del mandato e dei round negoziali. È quello che ha detto il commissario Malmstrom non più tardi di due settimane fa.
E.: L’inserimento nel Ttip del meccanismo di arbitrato internazionale per la soluzione di controversie tra investitori e Stati (Isds) incontra forti resistenze…
D.: Va ricordato che l’Isds siamo stati noi europei a volerlo. E’ una proposta che abbiamo fatto proprio perché lo avevamo utilizzato per il Canada e per altri Paesi asiatici. Poi se si vogliono trovare altre forme se ne può discutere, e da parte americana c’è una disponibilità a discutere a 360°, non c’è preclusione su nessun argomento.
E.: Le elezioni di medio termine hanno consegnato ai repubblicani la maggioranza al Congresso americano. Come si rifletterà questa situazione sulle trattative?
D.:Questo potremo dirlo dopo il prossimo round di negoziati, previsto per fine gennaio/inizio febbraio.
E.: È diffusa la convinzione che, se si vuole chiudere l’accordo, sia necessario farlo entro il 2015. Anche lei pensa che altrimenti salterà tutto?
D.: E’ così. Perché poi si entra nella campagna per le presidenziali americane e quindi slitterà tutto al 2017. Il tempo non gioca a nostro favore. Far passare del tempo fa crescere il negoziato per il trattato transpacifico (tra Usa e Cina), che interessa molto di più gli americani e potrebbe diventare oggetto di confronto con il Ttip. Noi abbiamo una finestra di un anno e pochi mesi.
E.: È fiducioso che si possa concludere l’accordo in questo arco di tempo?
D.: No, fiducioso è una parola grossa. Me lo auguro, perché sul settore agroalimentare, non ho alcun dubbio, gli interessi e le opportunità sono maggiori per noi, e soprattutto per il Sud dell’Europa e gli italiani in testa.