Autore: Federico Maria Ferrara
Traduzione: Elisa Carrettoni dal testo originale in inglese.
IL CONTESTO
La crisi dell’Eurozona ha segnato un punto di svolta nel processo di integrazione europea per diversi motivi. Da un lato, la crisi del debito sovrano ha contribuito ad aggravare il divario tra paesi creditori e paesi debitori, il quale costituisce ancora una seria minaccia all’integrazione. Dall’altro, mettendo in evidenza le tensioni strutturali all’interno dell’Unione economica e monetaria europea (UEM), la crisi dell’Eurozona è servita da incentivo per portare avanti una maggiore integrazione europea al fine di attenuare questi divari. L’Unione bancaria europea è un risultato significativo di quest’ultimo processo e, senza dubbio, rappresenta uno dei provvedimenti più importanti verso una maggiore integrazione tra le economie del continente.
L’unione bancaria è un tentativo diretto di affrontare gli attriti più rilevanti che si celano dietro un mercato integrato di servizi finanziari sprovvisto di un quadro normativo uniforme. Come ha affermato il Presidente della Bce Mario Draghi, l’obiettivo principale è stato quello di rompere “i circoli viziosi tra stati e banche”. La combinazione tra banche dell’Eurozona in possesso di grandi quantità di debito pubblico e mercati delle obbligazioni sovrane soggetti a elevate pressioni, ha generato un circolo vizioso: la situazione del settore bancario era destinata a peggiorare in seguito all’aumento dei rendimenti dei titoli di stato, e nel contempo gli stati sono stati oggetto di pressioni sempre più elevate dai mercati a seguito dei bail-out bancari.
Nel giugno 2012, nel pieno della crisi dell’Eurozona, il Presidente della Commissione europea Herman van Rompuy ha presentato la prima proposta per un’unione bancaria europea basata su tre pilastri: la supervisione integrata, un sistema europeo di risoluzione e un sistema europeo di garanzia dei depositi. Da allora, i progressi compiuti relativamente ai primi due pilastri sono stati costanti: in due anni sono stati adottati da tutti gli stati membri dell’UEM un codice unico per tutti gli attori finanziari dei 28 paesi dell’Unione europea, il Meccanismo di Vigilanza Unico e il Meccanismo di Risoluzione Unico. A partire dalla fine del 2014 la Bce opera la vigilanza diretta su 126 “enti creditizi significativi” – ovvero le maggiori banche – dell’UEM, che rappresentano quasi l’82% degli attivi bancari totali nell’area dell’euro. Parallelamente, il Meccanismo di Risoluzione Unico (Single Resolution Mechanism, SRM), autorità di risoluzione a livello europeo, si occupa di assicurare una risoluzione ordinata delle banche in fallimento sotto la supervisione europea ed è dotato di un Fondo Unico di Risoluzione che dispone di circa €55 miliardi mutualizzabili tra gli Stati membri dell’UEM.
Mentre con l’attuazione dei primi due pilastri sembrava stesse andando tutto per il verso giusto (nonostante alcune difficoltà), per il terzo pilastro, il Sistema Europeo di Garanzia dei Depositi, non è stato lo stesso. Infatti, nonostante una proposta della Commissione nel novembre 2015 e un continuo dibattito accademico sul tema, non è stato ancora attuato un sistema di garanzia dei depositi, e il quadro normativo attuale si limita all’accordo tra i sistemi di garanzia dei depositi nazionali, assicurando che tutti i depositi fino a €100.000 siano protetti da sistemi nazionali presenti in tutta l’Unione europea.
LE FRATTURE POLITICHE
Il processo che ha portato alla realizzazione dell’unione bancaria non è stato scevro di conflitti sia intergovernativi che sovranazionali. Il cammino verso la creazione di un’unione bancaria europea è stato tortuoso e ha coinvolto attori di vario tipo, che hanno spesso assunto posizioni contrarie.
Prima di tutto, il Meccanismo di Vigilanza Unico ha comportato il trasferimento di ampi poteri dalle istituzioni nazionali a quelle sovranazionali, dato che il ruolo di vigilanza bancaria di grandi società finanziarie è passato dalle banche centrali nazionali alla Bce. Nonostante l’interesse tedesco di esercitare un controllo centralizzato sulle istituzioni finanziarie nei paesi soggetti a difficoltà finanziarie, la posizione del paese, rappresentata soprattutto dal Ministro delle finanze Wolfgang Schäuble insieme alla Bundesbank, è stata inizialmente quella di fare pressione per una revisione del trattato in modo da sostenere la base giuridica dell’unione bancaria.
Prevedendo le difficoltà di modifica del trattato nel mezzo della crisi, la Commissione ha continuato a chiedere di accelerare la riforma del settore bancario, prendendo inoltre le distanze dalle insistenze della Germania, che riteneva la modifica dei trattati una necessità assoluta. Il trasferimento dei poteri di vigilanza alla Bce è stato attuato senza alcuna modifica del trattato sulla base dell’articolo 127 del Trattato di Lisbona. Questa attuazione ha richiesto il consenso del Consiglio dei ministri dell’Unione europea e sembra sia stato raggiunto in gran parte grazie al fatto che il progetto definitivo del Meccanismo di Vigilanza Unico abbia soddisfatto le richieste tedesche di lasciare le Landesbanken (banche regionali di proprietà dello Stato) e le Sparkassen (casse di risparmio locali) – massime avversarie di un piano di unione bancaria – sotto il controllo delle autorità tedesche.
L’attuazione del Meccanismo di Risoluzione Unico è stata ancora più controversa. Il ruolo di vigilanza della Bce perderebbe gran parte della sua sostanza senza un corpo deputato a occuparsi di banche in difficoltà: questa è la logica che sta dietro la realizzazione di un quadro normativo unico anche per la risoluzione bancaria. Francia, Spagna e Paesi Bassi hanno sostenuto la proposta della Commissione secondo cui il fondo di risoluzione bancario dell’UE, che avrebbe il potere di salvare, oltre che di liquidare, le banche colpite dalla crisi, dovrebbe riuscire a ricapitalizzare subito le banche stesse.
Anche in questo caso, la Germania è partita da una posizione rigida, rifiutando di soccorrere direttamente le banche senza rendere responsabili i governi nazionali della restituzione del rimborso. Disaccordo vi è stato anche sulla necessità della Commissione o dei ministri delle Finanze di avere l’ultima parola sul fatto che il fondo dovrebbe risolvere la situazione delle banche in crisi. Da ultimo, vale la pena notare il cambiamento radicale di Wolfgang Schäuble in merito ad entrambe le questioni, dato che l’accordo raggiunto nel marzo 2014 è andato sostanzialmente nella direzione indicata dalla Commissione, con la costituzione di una nuova istituzione sovranazionale – il Single Resolution Board – e un fondo mutuabile di €55 miliardi, il Single Resolution Fund. La Bce ha svolto un ruolo importante per il raggiungimento di questo risultato, in particolare grazie a Mario Draghi che ha più volte sottolineato la necessità di “un meccanismo di risoluzione forte e credibile” al fine di affrontare in maniera adeguata le questioni di stabilità finanziaria.
Per quanto riguarda il Sistema Europeo di Garanzia dei Depositi (EDIS), l’ultimo pilastro dell’Unione bancaria europea, non si è verificata un’analoga dinamica di convergenza intergovernativa sotto gli auspici delle istituzioni sovranazionali. Mentre l’attuazione di quest’ultimo sistema è stata inserita tra le priorità della relazione dei Cinque Presidenti nel mese di giugno 2015 e nel discorso sullo stato dell’Unione di Jean-Claude Juncker dello stesso anno, l’opposizione tedesca a una maggiore mutualizzazione del rischio è rimasta costante nel tempo e ha di fatto impedito qualsiasi progresso in merito. In particolare, a seguito della dichiarazione di Juncker, la Germania, nel corso di una riunione dei ministri delle finanze dell’Unione europea nel settembre 2015, ha presentato un documento secondo il quale “è inaccettabile avviare un dibattito su un’ulteriore mutualizzazione dei rischi bancari mediante un’assicurazione dei depositi comuni o un sistema di deposito di riassicurazione europea”. Nei mesi successivi, il Ministro italiano delle Finanze Pier Carlo Padoan ha cercato di attirare ulteriormente l’attenzione sulla questione, definendo l’EDIS come una priorità assoluta per il rilancio di una strategia di crescita e di stabilità europea. Eppure, nonostante gli sforzi, ad oggi il successo di questa iniziativa è stato molto limitato.
E ADESSO?
Nonostante l’Unione bancaria europea abbia rappresentato uno dei risultati più importanti per l’integrazione europea dall’inizio della crisi dell’Eurozona, le aspettative legate a questo progetto non sono state pienamente soddisfacenti. Per pima cosa, la recente crisi del sistema bancario italiano dimostra che le decisioni relative alla politica finanziaria europea – tra gli Stati membri e le istituzioni sovranazionali – sono destinate a rimanere una questione controversa nel corso dei prossimi mesi e, probabilmente, anni. Un esempio è proprio il conflitto tra governo italiano e la gestione dei problemi finanziari del Monte dei Paschi di Siena: Pier Carlo Padoan ha accusato la BCE di essere stata “rigida” e “poco chiara” nel calcolo del deficit patrimoniale di MontePaschi, denunciando le tensioni sul salvataggio della terza banca più grande d’Italia.
In secondo luogo, la decisione del governo italiano di offrire aiuti statali per salvare il Monte dei Paschi, evidenzia che le tensioni strutturali del sistema finanziario europeo, tra cui il legame nefasto tra stati e banche (il cosiddetto doom loop), sono ben lungi dall’essere risolte dalla realizzazione di un unico quadro normativo finché il grado di rischio finanziario differisce notevolmente tra gli Stati membri dell’UEM. Infatti, i diversi livelli di rischio nell’Unione Economica e Monetaria restano il maggiore ostacolo alla realizzazione dell’unione bancaria. I recenti sviluppi in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea mostrano che la fragilità del settore bancario in Italia, così come in altri paesi dell’Europa meridionale, ha reso Berlino sempre più contraria a seguire i piani di condivisione dei rischi mediante un sistema comune europeo di garanzia dei depositi. Pertanto, sembra improbabile il raggiungimento di un accordo sull’EDIS, a meno che le banche dell’Europa meridionale si liberino della grande quantità di crediti inesigibili da cui sono attualmente gravate.
