Bruxelles – Russia, immigrazione, bilancio pluriennale (Mff 2021-2027) e soprattutto le tante incognite della Brexit. Il vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue si preannuncia molto complicato, per via di un’agenda che porta con sé più interrogativi che risposte a cominciare dalla questione dell’addio britannico. I 27 attendono gli sviluppi politici d’oltre Manica, dove Theresa May dovrà cercare di passare indenne alla mozione di sfiducia del suo partito. La premier britannica domani potrebbe presentarsi a Bruxelles profondamente indebolita. Quello che gli europei non auspicano, perché questo vorrebbe dire non avere più interlocutori di riferimento e aggiungere altre incertezze a quelle già esistenti.
Il rischio di una hard Brexit, un’uscita disordinata di Londra dall’Ue senza accordi di alcun tipo, è ormai evocato da tempo e a Bruxelles come nelle altre capitali europee si lavora a piano d’emergenza nel caso delle scenario peggiore che nessuno si sente di escludere, data la situazione tutt’altro che chiara. L’unico punto fermo per l’Unione europea è la bozza di accordo di uscita raggiunta a metà novembre tra i negoziatori delle due parti. Un documento che non sarà oggetto di ripensamenti né di rinegoziazioni. Lo hanno messo in chiaro sin da subito i vertici delle istituzioni comunitarie, e lo hanno confermato i rappresentanti dei vari Stati membri.
Attendere gli sviluppi in Regno Unito, vedere cosa succede, ma non si tocca la bozza di accordo: questa la strategia dell’Ue, che di fronte a dinamiche squisitamente nazionali non può che restare a guardare e prepararsi al peggio, sperando di evitarlo. Nessuno si attende che May porti a Bruxelles nuovi documenti né nuove carte di alcun tipo. Praticamente non si aspettano in questa sede passi avanti, il che vuol dire che l’unico cambiamento possibile può essere solo in senso peggiorativo della situazione. Qualcuno avanza l’ipotesi che se May perderà il voto di fiducia, di fronte alla situazione di un Paese senza governo in carica, allora domani potrebbe chiedere un prolungamento del negoziato, per spostare in avanti la data di uscita del 29 marzo prossimo.
Nella sua lettera di invito ai leader Ue, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk scrive che “data la gravità della situazione nel Regno Unito, vorrei iniziare con il tema Brexit”, tanto per mettere in chiaro come stanno le cose. “L’intenzione – annuncia – è ascoltare la valutazione del Primo Ministro del Regno Unito, e in seguito ci incontreremo a 27 per discutere la questione e adottare le conclusioni pertinenti”. Tusk ammonisce che “dato che il tempo stringe, discuteremo anche lo stato dei preparativi per uno scenario di uscita senza accordo”.
Interlocutori anche i dibattiti su Russia e bilancio pluriennale. L’Ue non intende procedere a confronti muscolari con Mosca. La distensione nel mar d’Azov resta la priorità, e la richiesta di rilascio delle navi ucraine e dei loro equipaggi è quello su cui i leader dovrebbero trovare una sintesi. La preoccupazione generale resta, per un attore russo quanto mai iperattivo sullo scacchiere internazionale.
E sul bilancio settennale appare difficile trovare una sintesi in tempi brevi: sono ancora tante, e tutte diversificate, le posizioni attorno al tavolo. C’è chi vuole meno risorse (specie tra i nordici e nel blocco di Vysegrad), c’è chi ne vorrebbe di più (soprattutto tra i Paesi beneficiari netti), c’è chi ne vorrebbe di più ma a certe condizioni (tra questi Italia e Germania). Del resto quello sul budget è il primo confronto tra leader. Ci si attende che prenda le prime due ore di riunione. Non poco, ma neppure abbastanza per trovare una quadra. Tutto da rinviare, per un vertice che rischia di riproporre nuove divisioni sul capitolo migratorio. Se ne parlerà, ma le posizioni negli ultimi mesi non sono cambiate.