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    Home » Editoriali » Le colpe dei padri

    Le colpe dei padri

    Si è sviluppato un fenomeno che consolida il tradizionale familismo della politica italiana. In peggio. Una volta il politico cercava di sistemare il figlio, mentre oggi cerca di evitare la prigione al padre

    Diego Marani di Diego Marani
    7 Marzo 2019
    in Editoriali
    Immagine tratta da Visione alchemica

    Immagine tratta da Visione alchemica

    Una nuova figura, mai vista prima, fa irruzione nella politica italiana: i padri dei leader politici. Dal papà di Renzi a quelli di Di Maio e di Di Battista, il “vecchio genitor” diventa ingombrante con le sue parole ed opere e mette in ombra i suoi figlioli. Un po’ Crono che avrebbe divorato volentieri i figli prima che gli prendessero il posto, un po’ eterno tutore di rampolli mai cresciuti, il genitore della terza Repubblica vorrebbe dare una mano ai novelli galletti del pollaio politico italiano ma talvolta invece non fa che rompere loro le uova nel paniere. Con inopportuni arresti domiciliari, capannoni abusivi o assunzioni in nero. Mai avevamo sentito parlare dei genitori dei nostri politici nella prima e nella seconda Repubblica. Era come se Andreotti, Craxi, De Mita o Berlinguer fossero orfani. Oppure generati per partenogenesi dallo stesso mondo politico di cui facevano parte. Di Berlusconi furono famose le amanti, la moglie, il fratello e il cane. Della madre si ricorda solo il funerale.

    I politici del passato erano semmai famosi genitori di sconosciuti figli, talvolta ribelli e scavezzacollo. Carlo Donat Cattin si dimise da ogni incarico politico quando venne rivelata l’adesione del figlio Marco all’organizzazione terroristica Prima Linea. Si trattò più sovente di figli che non furono all’altezza dei padri come leader politici. Mariotto, il figlio del Presidente Antonio Segni, ebbe una fugace notorietà con il referendum elettorale del 1991 e poi più. Giorgio La Malfa non eguagliò mai il padre Ugo e finì con l’essere persino espulso dal Partito Repubblicano che suo padre aveva fondato. Stefania e Bobo Craxi si insabbiarono poco dopo la fine del craxismo e anche Giuseppe Cossiga non superò la carica di Sottosegretario alla difesa. Fra i Berlinguer brillò brevemente Luigi come Ministro dell’istruzione, Marco non decollò mai da Rifondazione Comunista, con un certo successo invece Bianca si diede al giornalismo, quanto al rampollo di Forlani non fu che uno sconosciuto senatore dell’UDC. I nuovi leader politici invece hanno semmai solo figli in fasce come il neonato Andrea Di Battista o in pantaloni corti, come Francesco Renzi, calciatore in erba nell’Udinese.

    Ma questa moderna invadenza dei padri non rivela forse un’inadeguatezza dei figli? Brufolosi e acerbi, perennemente minorenni, gli sbarbini della politica italiana sembrano costretti a venire puntualmente a scuola accompagnati dai genitori. Anche se sono spesso loro ad aver preso sette in condotta, con ditte fallimentari, proclami fascisti, abusi edilizi, bancarotte fraudolente. Un fenomeno questo che consolida il tradizionale familismo della politica italiana. In peggio. Una volta il politico cercava di sistemare il figlio, mentre oggi cerca di evitare la prigione al padre.

    Tags: familismofigliitaliapadripolitica

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