Bruxelles – In Italia donne e lavoro non è un binomio. E’, semmai, un problema da risolvere. Una cittadina su due non ha un impiego, per quello che è uno dei tassi peggiori di tutta l’UE. I dati Eurostat diffusi in occasione della giornata internazionale della donna, offrono una panoramica delle quote rosa. Quando si parla di mercato del lavoro, l’Italia è indietro. Per davvero. Solo il 53,7 per cento delle cittadine tra i 2o e i 64 anni risultava occupata alla fine del 2020, contro una media UE del 67,6 per cento e una media dell’eurozona del 67 per cento. Solo l’indice ellenico (52,6 per cento) è più contenuto di quello tricolore. Lp Stivale registra dunque la seconda quota più bassa dell’Unione.
Sono i dati relativi alle donne nate nel proprio Paese, che l’istituto di statistica europea offre insieme a quelli relativi a cittadine comunitarie di altri Stati membri residenti in Paesi all’estero e donne nate in Paesi terzi ma presenti su suolo UE. Emerge ancora una volta che per le proprie ragazze e donne l’Italia fa più fatica di tutti a coinvolgerle nell’attività produttiva. Facendo un paragone con le altre principali economia dell’area dell’euro, in Francia alla fine del 2020 risultano attive sette donne su dieci (70,7 per cento della fascia 20-64 anni), in Germania addirittura otto su dieci (80,4 per cento).
Non è neppure un problema di attitudine o competenze. Perché in Italia anche se si è donna, ma non italiana, le cose non migliorano. Solo poco più di quattro su dieci (45 per cento) ha una posizione. Non è la seconda quota più bassa, bensì la terza. In sostanza, essere donna in Italia è un problema. Il dato rischia di accendere una luce sul fenomeno del lavoro sommerso, ma non solo a livello nazionale. Eurostat si basa sui dati disponibili e relativi a rapporto di lavoro regolare. Le scarse quote rosa potrebbero spiegarsi anche così. Certo è che il sistema Paese non esce vincitore.