Bruxelles – Quello che fino a soli tre mesi fa sembrava impossibile – la richiesta di adesione all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO) da parte delle non-allineate Finlandia e Svezia – la guerra russa in Ucraina lo ha reso concreto negli ultimi giorni. Helsinki e Stoccolma potrebbero presto portare il numero dei membri NATO a 32 e lasciare così solo cinque Paesi dell’Europa centrale e occidentale all’esterno dell’Alleanza Atlantica, ancora schierati per la neutralità militare: Svizzera, Austria e Irlanda.
Nonostante non sia in discussione un ripensamento sulla politica di difesa nelle tre capitali, risulta evidente dai dibattiti interni che l’ambiente di sicurezza è radicalmente cambiato dopo l’aggressione militare di un Paese indipendente e sovrano da parte di Mosca e, soprattutto, che questa nuova fase geopolitica richiede non solo un’azione collettiva per mettere fine all’invasione, ma anche una riflessione sul rafforzamento delle alleanze strategiche. Perché, se è vero che nel caso di Svizzera, Austria e Irlanda si parla di neutralità (ben diverso dal non-allineamento militare di Finlandia e Svezia), non va nemmeno dimenticato che per tutti e tre i Paesi il punto di riferimento sulla cooperazione internazionale in materia di difesa è e rimane la NATO.
Svizzera
La neutralità militare, per la Confederazione Svizzera, è il fondamento della politica estera, che caratterizza il Paese dal 1815, quando il Trattato di Parigi stabilì questo principio. La Svizzera detiene di record per la più antica politica di neutralità al mondo: da più di 200 anni non ha partecipato a nessun conflitto armato per garantire la propria sicurezza. La Convenzione dell’Aia del 1907 stabilisce che la Svizzera non prenderà parte a conflitti armati internazionali, non favorirà le parti in guerra con truppe o armamenti e non metterà il suo territorio a disposizione delle parti in conflitto e la Costituzione prevede solo il diritto all’autodifesa e la cooperazione per l’invio di aiuti umanitari e soccorsi in caso di calamità.
Per quanto riguarda la cooperazione con la NATO, nonostante la neutralità storica, la Svizzera ha aderito nel 1996 al programma Partenariato per la Pace (PfP) e un anno più tardi è diventata membro del Consiglio di partenariato euro-atlantico (organismo per il dialogo e la consultazione tra membri NATO e partner esterni). Dal momento in cui la legge esclude l’uso della forza armata per la sicurezza esterna, le unità svizzere possono partecipare a operazioni di mantenimento della pace solo su mandato dell’ONU o dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa). È stato questo il caso del sostegno alla Kosovo Force (KFOR), la forza militare internazionale per l’ordine e la pace in Kosovo dal 1999, e dell’operazione in Afghanistan dal 2004 al 2007.
Il 2022 potrebbe però essere l’anno in cui la Svizzera si allontanerà gradualmente dalla sua tradizione plurisecolare di neutralità militare, per stringere sempre più i rapporti con la NATO. Il primo passo in questa direzione è stata la decisione di allinearsi alle sanzioni economiche imposte dall’Unione Europea e da altri partner in tutto il mondo contro la Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina: il congelamento dei conti degli oligarchi russi è un’assoluta novità per la Confederazione, che ha sempre mostrato una stretta connessione tra neutralità militare e neutralità fiscale. Inoltre, secondo un recente sondaggio dell’istituto di ricerca svizzero Sotomo, nonostante i cittadini rimangano contrari all’adesione alla NATO (65 per cento), la maggioranza si è dichiarata favorevole a legami più stretti con l’Alleanza (56 per cento).
A questo si somma il rapporto del ministero della Difesa svizzero sulle opzioni di sicurezza, in fase di redazione. I dettagli non sono ancora stati resi pubblici, ma alcune fonti di Reuters hanno anticipato che potrebbero essere incluse esercitazioni militari congiunte con la NATO, incontri regolari di alto livello con militari e politici svizzeri ed esportazioni di armi attraverso il cosiddetto backfilling (invio indiretto, passando dai Paesi membri NATO). Il rapporto dovrebbe essere consegnato verso fine settembre all’esecutivo e sarà poi presentato al Parlamento per la discussione tra i partiti politici sulla futura direzione della politica di sicurezza della Confederazione. Non dovrebbe comunque essere consigliata la richiesta di adesione all’Alleanza Atlantica.
Switzerland, Sotomo poll:
"Should Switzerland join NATO?"
Yes: 35%
No: 65%"Should Switzerland work more closely with NATO?"
Yes: 58%
No: 42%Fieldwork 12-14 April 2022
Sample size 19,896➤ https://t.co/9YpSaizDGc pic.twitter.com/GIU4t50pbA
— Europe Elects (@EuropeElects) April 17, 2022
Austria
La dichiarazione di neutralità fu un atto costituzionale del Parlamento austriaco, firmato il 26 ottobre del 1955 come diretta conseguenza della fine dell’occupazione militare sovietica, statunitense, britannica e francese nei primi dieci anni del secondo dopoguerra. A seguito del memorandum di Mosca (del 15 aprile), la Costituzione della Repubblica d’Austria specificò che il Paese “manterrà e difenderà con tutti i mezzi a sua disposizione la neutralità permanente” e “per assicurare la realizzazione di questi obiettivi, l’Austria non aderirà a nessuna alleanza militare, né permetterà l’installazione di basi militari straniere sul proprio territorio“.
Ferma restando la neutralità nazionale, l’Austria ha aderito nel 1995 al programma Partenariato per la Pace (PfP) della NATO, approfondendo negli anni successivi operazioni di sicurezza e di mantenimento della pace in Bosnia ed Erzegovina e in Afghanistan e attualmente ha personale dispiegato in Kosovo come sostegno alla KFOR. La questione della politica di sicurezza è però un argomento di dibattito nazionale, riemerso con forza dopo l’aggressione russa dell’Ucraina e soprattutto dopo la richiesta di adesione all’Alleanza Atlantica da parte di due attori europei come Finlandia e Svezia.
Per il governo (composto da liberal-conservatori e verdi) non c’è margine di rivalutazione della propria posizione. “L’Austria era neutrale, è neutrale e rimane neutrale”, ha dichiarato il cancelliere, Karl Nehammer, mentre la ministra della Difesa, Klaudia Tanner, ha messo in chiaro che “per l’Austria, la situazione è abbastanza chiara dal punto di vista costituzionale, siamo neutrali, a differenza di Svezia e Finlandia, che sono non-allineate”. Ma parte dell’opposizione sta iniziando a criticare la riluttanza del governo ad aprire quantomeno il dibattito, in particolare i liberali di NEOS: “È pazzesco il tipo di non-dibattito sulla politica di sicurezza che prevale in Austria“, ha commentato la presidente del partito, Beate Meinl-Reisinger. “È una questione di sicurezza del nostro Paese, si tratta di situazioni di minaccia completamente nuove”, ha aggiunto, accusando “la maggioranza e buona parte dei politici di tutti i partiti” di “nascondere la testa sotto la sabbia”.
Irlanda
La neutralità dell’Irlanda risale al 1949, l’anno in cui si costituì la NATO. Inizialmente, la decisione era legata al fatto che all’Alleanza aveva aderito il Regno Unito, Paese con cui era aperta la questione della rivendicazione di sovranità sull’Irlanda del Nord. A differenza di Svizzera e Austria, il principio di neutralità militare non è sancito dalla Costituzione della Repubblica d’Irlanda, ma è diventata una prassi consolidata dal periodo della Guerra Fredda, interrotta solo dal sostegno all’operazione di pace in Bosnia ed Erzegovina nel 1997, con una compagnia di polizia militare internazionale di stanza a Sarajevo. Nel 1999 l’Irlanda ha siglato il programma Partenariato per la Pace (PfP) della NATO e ha aderito al Consiglio di partenariato euro-atlantico: da quel momento è attiva la cooperazione in operazioni di mantenimento della pace, umanitarie, di soccorso e di gestione delle crisi, come quelle della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF) in Afghanistan dal 2001 al 2014 (in particolare nel programma di contrasto agli ordigni esplosivi improvvisati) e della Forza del Kosovo.
A oggi, l’opinione pubblica irlandese continua a favorire una politica di neutralità, ma i sondaggi evidenziano che dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina la situazione sta cambiando. L’istituto di ricerca Red C ha pubblicato alcuni dati a fine marzo che mostrano come la percentuale di cittadini contrari all’ingresso nell’Alleanza Atlantica sia scesa dal 52 al 39 (rispetto a solo un mese prima), mentre i favorevoli sono passati dal 37 al 48 per cento: potrebbe essere decisivo il proseguo degli eventi sul continente europeo per far prendere posizione a quel 13 per cento che ancora è incerto. Nessun partito irlandese al momento sostiene apertamente l’adesione alla NATO, ma il tema potrebbe diventare presto oggetto di un referendum popolare.
Il ministro degli Esteri, Simon Conveney, ha messo in chiaro che non ci sarà “a breve” un cambio di direzione, ma ha riconosciuto che sono aumentate le discussioni su una maggiore cooperazione con la NATO e che il Paese deve fare “uno sforzo maggiore” in termini di difesa. L’esecutivo dovrà discutere su un rapporto presentato dal gabinetto del ministro Conveney, che ha indicato la necessità di un aumento della spesa di 500 milioni di euro all’anno, per fornire “una capacità militare credibile per proteggere l’Irlanda”. Attualmente l’Irlanda spende lo 0,3 per cento del PIL per la difesa, il rapporto più basso tra spesa militare e prodotto interno lordo di tutti gli Stati membri dell’UE. “Stiamo lavorando anche sulla base di quanto sta accadendo attualmente in Ucraina”, ha confermato il ministro Conveney.
Malta e Cipro
Per quanto riguarda i due Stati del Mediterraneo, entrambi presentano una posizione che per il momento non sembra vacillare di fronte al nuovo contesto di sicurezza internazionale e di potenziale allargamento della NATO. Nel 1980 entrò nella Costituzione di Malta l’articolo che precisa che la Repubblica “è uno Stato neutrale, aderendo a una politica di non allineamento e rifiutando di partecipare a qualsiasi alleanza militare”. Lo status di neutralità implica che “nessuna base militare straniera sarà ammessa sul territorio maltese, nessuna struttura militare potrà essere utilizzata da forze straniere se non su richiesta del governo di Malta e solo nell’esercizio del diritto inerente all’autodifesa”. In ogni caso, Malta ha aderito al programma Partenariato per la Pace (PfP) nel 1995 – sospendendolo un anno più tardi e riattivandolo nel 2008 – ed è anche membro del Consiglio di partenariato euro-atlantico. Al momento, la popolazione propende per il mantenimento della neutralità (63 per cento secondo i sondaggi pubblicati sulla stampa nazionale, anche se risalgono a prima dello scoppio della guerra in Ucraina).
Per quanto riguarda Cipro, la situazione è più particolare. Prima di tutto, perché in verità la Repubblica di Cipro è militarmente non-allineata (come Svezia e Finlandia). In secondo luogo, perché sulla scelta di Nicosia pesa il rapporto conflittuale con la Turchia. Nel 1974 le relazioni tra i due Paesi precipitarono e Ankara invase l’isola, occupandone la parte settentrionale e riconoscendone l’indipendenza nel 1983: da allora Cipro è divisa in due e la questione cipriota rimane uno degli ultimi conflitti congelati in Europa. È per questo motivo che Cipro è l’unico Paese UE a non essere né membro della NATO né membro del programma PfP e parlare di un’adesione all’Alleanza sarebbe “precoce”, come ha affermato il presidente, Nicos Anastasiades: “Anche se il governo fosse favorevole, ci sarebbero problematiche serie da affrontare, come l’obiezione da parte della Turchia”. Nel 2011 il Parlamento cipriota aveva votato a favore dell’adesione al Partenariato per la Pace, ma l’ex-presidente, Demetris Christofias, aveva posto il veto per negoziare la smilitarizzazione dell’isola. Il tentativo è fallito e la Turchia, membro NATO, si opporrà a qualsiasi tentativo di Cipro di impegnarsi con l’Alleanza fino a quando la disputa non sarà risolta.