Bruxelles – La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha condannato oggi (14 settembre) l’Italia a un risarcimento di 40 mila euro ai familiari di un uomo che morì a causa di un’overdose di cocaina mentre si trovava in stato di fermo alla questura di Milano.
Il caso risale al 10 maggio del 2001: un uomo, identificato con le iniziali C.C., venne arrestato mentre lasciava il suo appartamento nel corso di un’operazione di polizia contro lo spaccio di droga nel capoluogo lombardo. Dal rapporto steso dagli agenti, già al momento del fermo l’uomo sembrava essere in “pessime condizioni, possibilmente dovute al consumo di sostanze stupefacenti”: aveva conati di vomito e saliva alla bocca. Portato in questura verso le 3 del mattino, alle 5 e mezzo chiese di usare il bagno dove vomitò e svenne. Sempre dal rapporto relativo a quella notte, la polizia scrisse che “l’uomo perdeva sangue dal naso e saliva dalla bocca“. L’agente ammise di “non aver prestato continua attenzione all’uomo”, perché indaffarato con altre pratiche.
Solo verso le 6 del mattino venne chiamata un’ambulanza, quando l’uomo era ormai in stato cianotico. Pochi minuti dopo, i medici dell’ospedale Fatebenefratelli constatarono la morte dell’uomo, la cui causa venne successivamente appurata essere un’overdose di cocaina. La madre, la figlia e la compagna fecero causa al ministero dell’Interno per omissione di soccorso e omessa sorveglianza: in primo grado il tribunale di Milano diede loro ragione, sostenendo che “la sorveglianza dei poliziotti fosse stata inadeguata” e che fosse possibile che l’uomo avesse con sé della cocaina al momento dell’arresto e che ne avesse assunta anche in questura. Il tribunale stabilì un risarcimento di 100 mila euro alla madre e di 125 mila euro alla figlia del defunto.
La decisione venne però successivamente ribaltata sia in Corte d’appello che in Cassazione. I familiari hanno allora portato il caso alla Corte di Strasburgo il 23 dicembre 2011. A distanza di 12 anni, la Cedu ha stabilito che la polizia non applicò le misure necessarie per garantire la salute dell’uomo in stato di fermo, né gli prestò le cure mediche di cui aveva bisogno. La Corte, si legge nella sentenza, ha concluso che “le autorità non hanno garantito in maniera sufficiente e ragionevole la protezione della vita” dell’uomo, e che pertanto hanno violato l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo stato italiano dovrà risarcire i familiari con 30 mila per danni morali e 10 mila euro di spese processuali.