Bruxelles – Nemmeno l’espressione ‘terremoto politico’ può descrivere con accuratezza quello che è andato in scena nei Paesi Bassi chiamati ieri (22 novembre) alle urne, dopo la fine improvvisa del governo guidato da Mark Rutte a luglio. Il partito di estrema destra anti-migrazione, anti-islamico e fortemente euroscettico Pvv (Partito per la Libertà) di Geert Wilders, ha trionfato al voto con la prova elettorale più convincente della sua storia, diventando la prima forza in Parlamento e rivendicando la guida del Paese. Ma in uno scenario politico storicamente frammentato come quello dei Paesi Bassi, il quadro delle alleanze è ora tutto da costruire, e non è certo che i due partiti di centro-destra (tra cui quello dell’ex-premier Rutte) saranno disposti a sostenere la candidatura a primo ministro di un politico che potrebbe portare i Paesi Bassi sulla stessa lunghezza d’onda dell’Ungheria di Viktor Orbán e della Slovacchia di Robert Fico.
“Il Pvv non può più essere ignorato, andremo al governo”, è stata la netta presa di posizione di Wilders dopo l’annuncio degli exit poll ieri sera, poi confermati dai risultati ufficiali. Il partito di estrema destra ha visto conquistato il 23,5 per cento delle preferenze, staccando di 8 punti percentuali la coalizione tra il Partito del Lavoro e la Sinistra Verde GroenLinks (PvdA/Gl), guidata dall’ex-responsabile per il Green Deal Europeo nella Commissione Ue, Frans Timmermans. Nonostante la crescita dei voti (+4,7 per cento) rispetto alle ultime elezioni del 2021 – quando le due forze correvano divise – la coalizione rosso-verde si ferma al secondo posto con 25 seggi, dietro ai 37 del Pvv.
Terzo posto per il centro-destra del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (che a dispetto del nome non fa parte della famiglia del Partito Popolare Europeo, ma dei liberali di Renew Europe), con un crollo di 6,7 punti percentuali e 10 seggi in meno alla Tweede Kamer (da 34 a 24). Stessa sorte per i liberali di Democraten 66 (da 24 a 9 seggi) e per i cristiano-democratici di Appello Cristiano Democratico (da 15 a 5). Exploit per la nuova formazione di centro-destra Nuovo Contratto Sociale, che si è posizionata al quarto posto con il 12,8 per cento e 20 seggi. Da segnalare anche l’avanzata del Movimento Civico-Contadino – partito populista che sostiene gli interessi degli agricoltori – con 7 seggi (+6 dalla scorsa legislatura). Oltre a questi, alla Camera bassa del Parlamento dei Paesi Bassi saranno rappresentanti altri 8 partiti.
La campagna elettorale di Wilders si è basata in particolare sul sentimento diffuso anti-migrazione e anti-islamico, promettendo di “chiudere le frontiere” ma allo stesso tempo accantonando momentaneamente l’idea di “vietare” moschee, Corano e scuole islamiche nel Paese. Anche considerato il tonfo del Vvd di Rutte – oggi guidato da Dilan Yeşilgöz-Zegerius – il partito di estrema destra è riuscito a incassare l’insoddisfazione degli elettori nei confronti del precedente governo, crollato proprio sui disaccordi tra le quattro forze che componevano la coalizione sulla gestione delle persone migranti in arrivo nei Paesi Bassi. Nel programma di Wilders c’è anche l’opzione di un referendum per lasciare l’Unione Europea, anche se lo stesso leader del Pvv ha riconosciuto che la questione non è sufficientemente sentita dai cittadini olandesi. I Paesi Bassi sono uno dei membri fondatori dell’Unione e per questo motivo la possibilità che Wilders diventi il nuovo primo ministro potrebbe provocare un enorme scossone non solo a Bruxelles, ma tra tutti i Ventisette: la sua presenza al tavolo del Consiglio Europeo potrebbe far naufragare le speranze di riforma dell’Unione Europea, oltre al sostegno dell’Ue all’Ucraina sul piano militare.
Gli scenari post-voto nei Paesi Bassi
Ora però si apre una complessissima fase post-elettorale per la formazione del governo, perché prima del voto tutti e tre i grandi partiti avevano escluso di condividere una maggioranza con il partito di estrema destra. La situazione potrebbe cambiare, considerata la portata della vittoria del Pvv, ma starà ora a Wilders cercare di convincere almeno altri due partiti ad allearsi. L’obiettivo è raggiungere quota 76 seggi su 150 alla Tweede Kamer, ovvero altri 39 deputati oltre ai suoi 37. Messa da parte la coalizione Verdi-sinistra di Timmermans – che ha categoricamente escluso qualsiasi accordo con l’estrema-destra – gli occhi sono puntati sulle scelte del centro-destra del Vvd e di Nsc: insieme le tre forze arriverebbero a 81 deputati, a cui si potrebbero associare i 7 populisti agrari di Bbb. Per il momento non è chiaro cosa faranno i leader di centro-destra, anche se Pieter Omtzigt (Nuovo Contratto Sociale) ha affermato che “è disponibile a trasformare questa fiducia in azione”, non esplicitando con chi sarebbe disposto ad allearsi e con chi no. In cambio del loro supporto, Wilders sarebbe disposto a fare concessioni sulle proposte politiche più controverse, in particolare su quelle anti-islamiche e anti-Ue.
L’altra opzione sul tavolo da non escludere è quella di un blocco dal centro-sinistra al centro-destra, che comprenderebbe la coalizione rosso-verde e i due partiti che rappresentano l’ago della bilancia (Vvd e Nsc), insieme ai liberali di D66. In questo scenario si arriverebbe a una maggioranza risicata di 78 deputati, anche se non è da escludere che altri piccoli partiti possano aggregarsi per puntellare il governo. Le difficoltà principali di questa opzione riguardano le rivalità tra Partito del Lavoro-GroenLinks e Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, che non sono solo su campi opposti (Timmermans è uno degli esponenti di spicco della socialdemocrazia europea, il Vvd rappresenta l’ala più conservatrice del gruppo Renew Europe), ma la coalizione rosso-verde si è formata dopo la caduta del governo Rutte proprio per scalzare il centro-destra ininterrottamente al potere dal 2010. Entro una settimana si riunirà il Parlamento nella nuova configurazione e ciascun partito nominerà un rappresentante per esplorare le coalizioni praticabili, dopodiché sarà scelto il nuovo primo ministro che dovrà ottenere la fiducia delle Camere. Il processo per arrivare alla nomina, alla votazione e all’entrata in carica del premier designato potrebbe durare mesi.