Bruxelles – L’alleanza tra l’Italia di Giorgia Meloni e l’Ungheria di Viktor Orbán sembra essere sempre più infrangibile, almeno a livello di partiti che attualmente dominano il panorama politico nazionale e i governi dei rispettivi Paesi membri Ue. Mentre a Bruxelles si attende la decisione della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sulla disponibilità per un secondo mandato, in vista delle elezioni del 6-9 giugno per il rinnovo del Parlamento Ue c’è da fare però anche particolare attenzione alle mosse dei due primi ministri, da cui potrebbero dipendere gli equilibri per tutta la prossima legislatura.
È stato lo stesso Orbán – parlando con i giornalisti di Repubblica e La Stampa a margine dell’incontro con Meloni la notte prima del Consiglio Europeo straordinario di ieri (primo febbraio) – ad assicurare che “sì, siamo pronti ed entreremo” nel Partito dei Conservatori e Riformisti Europei. Già in conferenza stampa a fine 2023 il premier ungherese aveva anticipato di essere impegnato in “discussioni preliminari” con la famiglia politica europea guidata dalla leader di Fratelli d’Italia – con la rielezione alla presidenza di Ecr nel giugno dello scorso anno – anticipando che la possibilità si sarebbe potuta concretizzare solo dopo le elezioni europee. Ieri è così arrivata la conferma delle intenzioni di infoltire la schiera dei partiti conservatori: “L’idea era di entrare già prima delle elezioni, ma a questo punto lo faremo dopo il voto“, ha ribadito il premier ungherese.
Solo due giorni fa (31 gennaio) era arrivato l’endorsement dall’alleato più stretto di Orbán, l’ex-primo ministro ultraconservatore della Polonia, Mateusz Morawiecki: “Non sono sicuro che possano verificarsi cambiamenti prima delle elezioni europee, ma dopo il voto personalmente sono aperto all’idea che Fidesz si unisca al nostro gruppo“, aveva spiegato il leader del partito Diritto e Giustizia (PiS) nel corso di una conferenza stampa al Parlamento Ue. Uno scenario sicuramente non sgradito nemmeno alla premier Meloni, non interessata però ad accelerare le tempistiche in quanto impegnata a tessere una delicata rete di possibili intese pre-elettorali che proprio la presenza di Orbán potrebbe distruggere: “Non credo che sia un dibattito di questi giorni o di questi mesi, eventualmente si aprirà dopo le elezioni europee“, ha tagliato corto la presidente di Ecr al termine del vertice dei leader Ue di ieri a Bruxelles.
Perché se è vero che Fidesz potrebbe assicurare un tesoretto non indifferente di eurodeputati al Parlamento Europeo, allo stesso tempo non va dimenticato che Meloni si sta cercando di ritagliare un ruolo-chiave nelle discussioni tra i 27 governi per la nomina della nuova presidenza della Commissione – se non addirittura per un complicatissimo ribaltamento delle alleanze all’Eurocamera – e tutto passa dalla sua capacità di mediare con i leader di centro-destra (e non solo). In seno al Consiglio Europeo la premier italiana non può mostrare eccessiva vicinanza al primo ministro che più sta destabilizzando l’unità dell’Ue e dovrà cercare una mediazione con i capi di Stato e di governo più influenti, come il presidente francese, Emmanuel Macron (liberale), e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz (socialdemocratico). Sul fronte dell’Eurocamera invece il dialogo passa per forza di cose con il Partito Popolare Europeo di Manfred Weber, lo stesso che stava per espellere Fidesz prima che il partito ungherese annunciasse ufficialmente l’abbandono della famiglia europea di centro-destra nel 2021, proprio un momento prima che lo facesse il Ppe, per evitare l’onta della oramai decisa espulsione.
Allo stato attuale dei fatti Fidesz non è membro del partito Ecr, né tantomeno del gruppo al Parlamento Europeo. I 12 eurodeputati ungheresi del partito di Orbán siedono tra i non-iscritti e per qualsiasi cambiamento serve una domanda formale di iscrizione, seguita da una decisione interna degli eurodeputati della famiglia politica interessata. Già due settimane fa il portavoce del gruppo Ecr, Michael Strauss, aveva lasciato aperta la porta al partito Fidesz di Orbán – “Chiunque condivide i nostri valori può unirsi a noi” – ma per il momento “non abbiamo ancora ricevuto una richiesta formale da Fidesz“, ha confermato lo stesso portavoce oggi (2 febbraio). Rispondendo alle domande della stampa, Strauss ha spiegato di non sapere “cosa si siano detti tra loro” Orbán e Meloni due sere fa, ma ha ricordato che al momento si sta parlando di una possibilità di “negoziati” dopo elezioni di giugno, “come ha detto anche Morawiecki”. Fonti del Parlamento Europeo spiegano che l’appartenenza a un partito europeo non implica l’automatica adesione a un gruppo politico: se Fidesz entrerà a tutti gli effetti nel Partito dei Conservatori e Riformisti Europei, dovrà comunque fare richiesta di adesione al gruppo di Ecr all’Eurocamera.
A oggi i conservatori sono il quinto gruppo più numeroso nell’emiciclo di Strasburgo (67 eurodeputati) ma – secondo le ultime proiezioni di ciò che potrebbe accadere alle urne nei 27 Paesi membri – potrebbero giocarsi il quarto posto con i liberali di Renew Europe (tra gli 85 e 86 membri) nella prossima legislatura. Con una riconferma di Fidesz alle urne in Ungheria, l’eventuale ingresso di 12 o più eurodeputati in Ecr metterebbe il gruppo nelle condizioni di sfilare il terzo posto all’estrema-destra di Identità e Democrazia (98). Sempre considerando che si tratta solo di proiezioni quando mancano ancora quattro mesi al voto.
Le alleanze della destra europea con l’incognita Orbán
Un accordo tra le destre popolari e conservatrici in Europa – già sponsorizzato dal presidente del Ppe Weber – si scontra con il complicato quadro delle affiliazioni dei partiti nazionali, un elemento di instabilità nei tre partiti europei che spaziano dalla destra moderata a quella estrema. L’attenzionato speciale è il Partito Popolare Europeo (di cui fanno parte 84 partiti tra cui Forza Italia, l’Unione Cristiano-Democratica di Germania, i Repubblicani francesi, il Partito Popolare spagnolo e Piattaforma Civica polacca) che potrebbe cercare di stringere i rapporti con la famiglia dei conservatori europei, anche se al suo interno ne fanno parte frange estremiste.
Non va dimenticato che le 13 formazioni politiche appartenenti al Partito dei Conservatori e Riformisti sono guidate dalla stessa leader di Fratelli d’Italia, partito che a livello nazionale si posiziona nell’estrema destra (di derivazione post-fascista). Al suo interno si trovano anche altri partiti di ultra-conservatori, come gli spagnoli di Vox, i Democratici Svedesi, gli slovacchi di Libertà e Solidarietà e soprattutto i polacchi di Diritto e Giustizia (PiS). Il banco potrebbe saltare non solo per il possibile ingresso degli ungheresi di Fidesz – considerata appunto la reticenza dei popolari ad allearsi con lo stesso partito che stavano per espellere solo tre anni fa – ma anche per il nodo polacco. Il nuovo primo ministro è l’ex-presidente del Ppe ed ex-presidente del Consiglio Europeo tra il 2014 e il 2019, Donald Tusk, uno dei più forti antagonisti di un’alleanza a Bruxelles con la famiglia politica che rappresenta partiti come il PiS. Convincere i popolari polacchi a dialogare con quelli ultra-conservatori – e viceversa – potrebbe rivelarsi uno scoglio quasi impossibile da superare.
Ammesso e non concesso che si possano superare queste frizioni in nome di un’esclusione dei socialisti dalla maggiorana all’Eurocamera, rimane il fatto che al momento non è realizzabile una maggioranza composta solo da popolari e conservatori. L’opzione proposta recentemente dal segretario della Lega e vicepremier italiano, Matteo Salvini, è quella di replicare la coalizione di governo italiana: a Roma c’è una maggioranza di destra Forza Italia-Fratelli d’Italia-Lega, a Bruxelles si dovrebbe puntare su un campo larghissimo Ppe-Ecr-Id. Le parole della scorsa estate del ministro degli Esteri italiano e vicepresidente del Ppe, Antonio Tajani, e quelle ancora più esplicite della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola – “quando andremo alle elezioni a giugno, ai cittadini dobbiamo proporre una scelta pro-europeista” – dimostrano che tra la maggioranza dei popolari è considerato quasi impossibile questo tipo di scenario, perché il Partito di Identità e Democrazia è pieno di forze anti-europeiste. In questo senso la Lega, che in Italia non è considerata la forza più a destra dello scacchiere politico parlamentare (titolo che appartiene al partito di Meloni), a Bruxelles siede con i partiti più ultra-nazionalisti di tutta la scena europea. Fonti di peso all’interno di Identità e Democrazia confermano però che c’è un “dialogo costante” tra Weber e Marco Zanni (presidente di Id) e che la possibile convergenza con Meloni potrebbe essere intesa come un tentativo di garantirsi “una figura forte in Consiglio”.
Per quanto riguarda invece lo scenario tratteggiato da diversi popolari europei (come Tajani) per un’alleanza con conservatori, fonti interne al gruppo di Renew Europe hanno confermato a più riprese a Eunews che il gruppo “non darà mai l’appoggio” a questo tipo di soluzione. A maggior ragione se tra i conservatori sono rappresentati sia il partito di Morawiecki sia quello di Orbán. Indiscrezioni che sembrano trovare esplicita conferma nelle parole del vicepresidente del gruppo ed eurodeputato di Italia Viva, Nicola Danti: “Ora sarà più chiaro a tutti che alle prossime elezioni europee dobbiamo battere la coppia Meloni-Orbán“, ha commentato su X la notizia del possibile ingresso di Fidesz in Ecr: “La nostra presidente del Consiglio evidentemente immagina un futuro per l’Europa in cui schierare il campione dell’antieuropeismo in prima fila”. In questo scenario, al voto di giugno “da una parte ci saranno i sovranisti, dall’altra gli europeisti impegnati a costruire gli Stati Uniti d’Europa”, ha messo in chiaro il vice-presidente del gruppo Renew Europe.