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    Home » Economia » Testa (Enea) : “Per una crescita verde tradurre sostenibilità ambientale in politica industriale”

    Testa (Enea) : “Per una crescita verde tradurre sostenibilità ambientale in politica industriale”

    In vista di ‘How can we foster green growth’, Eunews ha intervistato il commissario dell’Enea, che ha parlato di ricerca e sviluppo delle tecnologie nel settore energetico, di fonti rinnovabili e scenari futuri

    Domenico Giovinazzo</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@giopicheco" target="_blank">@giopicheco</a> di Domenico Giovinazzo @giopicheco
    30 Aprile 2015
    in Economia
    Il commissario dell'Enea Federico Testa

    Il commissario dell'Enea Federico Testa

    Roma – Per una “crescita verde’ serve “un’accezione più larga della sostenibilità. Dobbiamo riuscire a coniugare gli aspetti ambientali, quelli economici, quelli di sviluppo e quelli tecnici”. L’idea di Federico Testa, commissario dell’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), è che sia necessario dare concretezza alle buone intenzioni. “Tutti siamo d’accordo nel dire che vogliamo un mondo più sostenibile”, spiega, ma dobbiamo far sì che “questo proposito si traduca in politiche industriali”. Proprio per stimolare il dibattito su come farlo, Eunews ha organizzato ‘How can we foster green growth’, il convegno che si terrà a Bruxelles il 5 e 6 maggio prossimi, al quale anche Testa parteciperà come relatore. Lo abbiamo intervistato partendo proprio dalla domanda che ci ha spinti a organizzare l’evento.

    Eunews: Commissario, come si promuove una ‘crescita verde’ in Europa?

    Testa: Bisogna fare in modo che tutto ciò che viene fatto dal punto di vista della sostenibilità e dell’ambiente abbia anche una sua intrinseca validità economica. Le faccio un esempio: negli anni scorsi, in Italia, abbiamo avuto un grande sviluppo di energie rinnovabili. Tuttavia, se quello sviluppo ha avuto un difetto, è non aver trainato una filiera produttiva italiana. Dunque, abbiamo fatto bene a perseguirlo, ma abbiamo imparato la lezione che tutto ciò che facciamo deve, se possibile, riuscire a portarsi dietro uno sviluppo economico, la nascita di imprese e la crescita di filiere produttive che stanno dietro a queste azioni.

    E.: La Commissione europea ha varato il pacchetto ‘Unione dell’energia’, che porta con sé un corollario di investimenti sulle reti, sull’efficienza e il risparmio energetico, sulle rinnovabili e sulla digitalizzazione dei sistemi. Interventi che in parte si prevede di fare anche attraverso il Piano Juncker. È la direzione giusta?

    T.: Sì. La chiave di volta sarà se questa grande sfida che l’Europa vuole fare, quella della sostenibilità, diventerà anche un punto di forza dal punto di vista industriale. Altrimenti, uno dei rischi è che diventiamo bravissimi ma ci trasformiamo in un deserto industriale: saremo molto più sostenibili ma desertificati. Questo non può succedere. Quindi dobbiamo fare della sfida ambientale un’area di business.

    E.: È quello che si propone l’Ue con l’Unione dell’energia e l’Agenda digitale, che promettono di avere importanti ricadute occupazionali. In Italia, e più in generale in Europa, c’è una forza lavoro adeguatamente qualificata per realizzare questi investimenti o sarà necessario formarla?

    T.: Il pacchetto ‘Unione dell’energia riconosce la necessità di intrecciare i sistemi dei singoli paesi, e i sistemi interconnessi saranno più complessi di quelli attuali. Avranno bisogno di grandissimi supporti in termini di dati, di interfacciamento di sistemi, di tecnologie digitali per rendere le reti intelligenti, quindi c’è anche un legame forte con l’agenda digitale. Tutti questi interventi richiedono in effetti una certa specializzazione. Diciamo che non siamo messi male in termini di forza lavoro qualificata. Ma in Italia, ad esempio – che è la realtà che conosco meglio – c’è ancora da fare dal punto di vista della formazione e della ricerca. Perché non è ancora passato del tutto il segnale che ci troviamo di fronte a un cambiamento di così ampio spettro sui sistemi energetici.

    E.: Cosa occorre per far passare questo segnale?

    T.: Parlarne, per diffondere la consapevolezza. E poi superare uno dei rischi che corriamo: quello che ci si fermi alla enunciazione ideologica, morale, etica – la chiami come vuole – che siamo tutti favorevoli a un mondo più sostenibile. Va bene, siamo tutti d’accordo. Ma dobbiamo fare il passo ulteriore: capire come quella sostenibilità ambientale che vogliamo diventi, concretamente, anche sostenibilità tecnica ed economica. Bisogna trasformare l’enunciazione in una politica industriale.

    E.: L’economista Jeremy Rifkin, ha inviato alla Commissione europea un memorandum su come affrontare quella che definisce “la quarta rivoluzione industriale”. Tra le varie proposte, suggerisce di puntare al decentramento della produzione energetica: ogni edificio deve essere autosufficiente. È un modello percorribile?

    T.: Il primo step è quello di fare massicci investimenti, che si auto ripagano, in termini di efficienza energetica. Ancora troppa energia viene sprecata, buttata via o utilizzata male. Poi, è evidente che il modello della produzione accentrata è destinato probabilmente ad essere superato. Però, se penso che ogni edificio debba essere autosufficiente, devo prima di tutto rendere tutto ciò competitivo in termine di costi, e poi devo comunque avere dei meccanismi di sicurezza. Quindi servono reti terze nella distribuzione, grandi investimenti per rendere queste reti intelligenti, quindi grande digitalizzazione, scambio di dati, la creazione delle capacità di riserva. Io credo sia un futuro a cui si può arrivare. Gli orizzonti dipendono da come le tecnologie si diffondono e quindi si riescono ad abbassare significativamente i costi. E’ giusto che i visionari indichino le visioni, poi sta alla ricerca trasformarle in realtà.

    E.: In base alla sua esperienza all’Enea. Quali sono, in campo energetico, le tecnologie già mature per una implementazione su più vasta scala e quelle sulle quali bisogna investire di più in ricerca?

    T.: Quelle già mature riguardano le fonti rinnovabili tradizionali, sulle quali noi, attraverso collaborazioni con importanti player italiani come Enel, continuiamo comunque a svolgere ricerche rispetto alle evoluzioni possibili. Poi, Enea ha da sempre puntato sul solare termodinamico, perché crediamo possa avere buone potenzialità di crescita. Stiamo lavorando molto sul tema degli accumuli, perché cambiando il modello di produzione, con più fonti discontinue e non programmabili, sorge la necessità di compensare i momenti di minore produzione degli impianti. Proseguendo, c’è il tema delle energie verdi di seconda generazione: le biomasse non in contrasto con la produzione alimentare. Infine, abbiamo il tema della fusione nucleare su cui l’Enea ha laboratori con una significativa posizione di leadership a livello mondiale. È un progetto di respiro enorme, su cui stiamo coinvolgendo molte realtà produttive italiane e continuiamo la fase di ricerca.

    E.: Per il nucleare non si pone lo stesso problema delle tradizionali fonti fossili? Le materie prime non sono infinite

    T.: Se parliamo di fusione, il tema si pone in maniera completamente diversa rispetto alla fissione. L’idea della fusione è riuscire a riprodurre i meccanismi del Sole, quindi il problema della finitezza delle materie prime non dovrebbe porsi, così come quello dello smaltimento delle scorie.

    E.: Rimangono quelli della sicurezza degli impianti in caso di incidenti?

    T.: Credo in maniera molto diversa da come sono percepiti quelli legati ai tradizionali impianti a fissione nucleare.

    E.: A che livello è la cooperazione tra i Paesi Ue sulla ricerca e lo sviluppo in campo energetico?

    T.: Noi abbiamo molte collaborazioni e contiamo di incrementarle ancora. Direi che è una strada su cui si sta crescendo. Certo, poi si può sempre fare di più e meglio. Ma almeno per ciò che ci riguarda, i contatti e la collaborazione con gli altri centri di ricerca europei si sono molto incrementati negli ultimi anni.

    E.: Non ci sono gelosie da parte dei paesi che nel settore hanno un livello più avanzato, come ad esempio la Germania, che sulle rinnovabili è molto all’avanguardia?

    T.: Tenga conto che la Germania quella leadership l’aveva, ma su tecnologie che probabilmente non saranno quelle del futuro. Il futuro sarà molto più giocato sul piano dell’efficienza energetica che non su quello delle rinnovabili. Poi, il tema delle gelosia non si pone solo a livello europeo ma anche di singolo Paese. Il ricercatore ci tiene ad appropriarsi di quello che fa. Però, siccome ormai le risorse pubbliche da investire sono scarse, nessuno si può più permettere di pensare che lavora da solo e non insieme agli altri. La necessità è di condividere il più possibile, ovviamente nel rispetto dei diritti e dei riconoscimenti che vanno dati.

    Tags: EneaFederico Testagreen economyHcwfggJeremy RifkinPiano JunckerRicerca e Svilupposviluppo sostenibileUnione enegia

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