Bruxelles – C’è spazio di mercato in Italia per la competizione infrastrutturale nel digitale? È possibile che due o più operatori possano ottenere un adeguato ritorno degli investimenti? Su questi interrogativi ha riflettuto Franco Bassanini, presidente di Open Fiber (OF) – la società della fibra partecipata da Enel e Cdp – intervenuto in occasione del Digital Regulation Forum di Londra. “Si tratta di una questione cruciale”, ha detto Bassanini durante il suo speech, sottolineando come “duplicare le reti in fibra comporta incertezze e rischi significativi. Non a caso situazioni di questo tipo si ravvisano in maniera molto limitata in Europa”.
Stando al “consensus” degli analisti, ha affermato il presidente di Open Fiber, la competizione sulle reti in fibra sarà profittevole solo in una decina di aree metropolitane, ossia quelle più densamente popolate. Al di fuori di questi territori l’“overbuild”, ossia la realizzazione di più reti in competizione tra loro, non sarà un modello di business sostenibile. “Pertanto dovremmo prevedere per la restante parte d’Italia, una partizione del territorio concordata tra i due maggiori competitor o una cessione della rete fissa di Telecom Italia, seguita da un accordo tra Open Fiber e la newco di Telecom Italia, per unire entrambe le società di rete”, ha spiegato Bassanini. “Quest’ultimo scenario potrebbe aumentare il dispiegamento di fibra al di fuori delle aree urbane ed evitare il divario digitale”.
Ci sono tuttavia alcune specificità del mercato italiano, che secondo Bassanini gli analisti non avrebbero preso nella giusta considerazione e potrebbero rendere la competizione infrastrutturale sostenibile in ogni caso. La prima riguarda il finanziamento pubblico: un importo di circa 7 miliardi di euro che ridurrà il capitale necessario ai privati per la realizzazione delle nuove infrastrutture. La seconda è l’assenza sul mercato italiano della tv via cavo, ossia di un asset che negli altri Paesi è stato in competizione con le reti di Tlc. Tale “anomalia” è dovuta alle “restrizioni regolatorie imposte dal Parlamento negli anni ’80 con lo scopo di proteggere il duopolio formato da la Rai e Mediaset”, ha sottolineato Bassanini.
“Questo è stato per anni un handicap per l’Italia”, ha continuato l’ex ministro della funzione pubblica, infatti “l’azienda incaricata, ossia Telecom Italia, non è stata obbligata a investire per far fronte alla concorrenza delle reti televisive via cavo, come invece altri operatori storici di altri Paesi sono stati costretti a fare”. Paradossalmente, evidenzia Bassanini, “la mancanza di reti televisive via cavo potrebbe però oggi essere un vantaggio per gli investitori Ngn e rendere la competizione infrastrutturale sostenibile. Infatti, prima della fine del 2020, o almeno del 2022, l’Italia avrà l’obbligo, nel quadro della politica dello spettro europeo, di destinare ai servizi di comunicazione mobile un gran numero di frequenze ora utilizzate dalle emittenti televisive: il cosiddetto secondo dividendo digitale”. “Di conseguenza”, ha concluso il presidente di OF, “la trasmissione di programmi televisivi sul digitale terrestre, che in Italia occupa maggiormente lo spettro che in altri Stati membri, sarà obbligata a migrare verso la trasmissione sulle reti in fibra, espandendo la domanda di connettività di alta qualità su infrastrutture di telecomunicazioni fisse”.