Bruxelles – L’accoglienza è possibile, soprattutto laddove sembra sia più improbabile che altrove. Lui, Antonio Calò, professore di storia e filosofia al liceo classico Antonio Canova di Treviso, infrange le barriere del tempo e dello spazio, e soprattutto infrange i tabù legati all’immigrazione. Nel cuore dell’area a forte connotazione politico-culturale leghista, da sempre per la linea dura con gli stranieri, propone un modello vincente di inserimento di migranti nel tessuto socio-economico. A riprova del fatto che se si vuole, si può fare. Lui l’ha fatto, e il Parlamento europeo per questo l’ha insignito del Premio per il cittadino europeo, il riconoscimento che ogni anno si attribuisce a chi si distingue per l’impegno nel promuovere una migliore comprensione reciproca e una maggiore integrazione tra le popolazioni degli Stati membri.
A proporre Calò per il premio l’europarlamentare Cecile Kyenge (Pd/S&D), che ha invitato il professore in Parlamento ad illustrare a tutti la sua soluzione al problema migratorio. L risposta passa per uno schema numerico semplice, il ‘6+6×6’. Si inserisce un nucleo di 6 richiedenti asilo in una comunità di cinquemila persone. Questo rapporto 6:5000 vuol dire che solo in Italia, se si vuole, si possono inserire qualcosa come 72mila immigrati, in Europa almeno 600mila. Un messaggio per il governo italiano, e per gli esecutivi degli altri Ventisette, incapaci fin qui di trovare una quadra al fenomeno dei flussi. “Non serve un piano Marshall per l’Africa, questa è una cretinata”, dice Calò a Eunews. Per i migranti ci sono i famosi 35 euro, “che non sono tutti nazionali”, sottolinea il docente. “Una parte di quei soldi è europea”.
A quanti, soprattutto in Italia, dicono di mettersi i migranti a casa propria, Calò risponde proprio così. Il modello riguarda l’ospitalità di 6 migranti in famiglia. Ha iniziato lui, a dare l’esempio. Ha aperto la propria casa, dove vive con la moglie e i quattro figli, a sei giovani profughi di Nigeria e Gambia (6+6). Da lì ha replicato l’esperienza (6+6×6) e costruito il ‘modello’, fatto di assistenza (medico-sanitaria, psicologica, educativa), e “convivenza costruttiva”, come sottolinea. “Non chiamiamola integrazione. L’integrazione non è mai avvenuta nella storia”.
L’inserimento sociale si trasforma in anche in contratti a tempo indeterminato. Gli stranieri che rubano il lavoro? No. In tempi di “prima gli italiani” si rispetta la sensibilità (?) nazionale. “Quando propongo personale alle imprese lo faccio sulla base di due condizioni: se per quel posto concorre anche un italiano prima diano lavoro all’italiano e poi al ragazzo; l’azienda non può utilizzare l’immigrato per coprire maternità, ferie, cassa integrazione”.
Il modello sembra funzionare. Calò per questo è già stato insignito dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del titolo di “Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana” . Ma il vero risultato è confermare una volta di più le ipocrisie dietro i migranti. “Se fanno un contratto a tempo indeterminato a un ragazzo non italiano, dopo che io stesso dico di dare priorità agli italiani, allora vuol dire che ci sono dei lavori che gli italiani non vogliono fare”, sottolinea Calò. “Questo indica che abbiamo bisogno degli immigrati”.
Con il suo modello Calò stana oltretutto gli ‘svogliati’ della politica, Matteo Salvini per primo. “La veda domanda è: vuoi o non vuoi risolvere il problema?”. La risposta la viene dal confronto. “Il Bangladesh accoglie i Rohinga, l’Europa chiude le frontiere. Vuol dire che manca la volontà politica”. O peggio, vuol dire che “qui vogliamo lo scontro sociale, e con lo scontro sociale accrescere il consenso”. La formula magica 6+6×6 intende scardinare tutto questo.
Il modello Calò non può che essere vincente, di questo l’europarlamentare Kyenge è convinta. “Offriamo all’Europa un esempio di best practice, che riteniamo possa essere un modello da adottare ovunque”. In linea di principio “lavorare sulle buone pratiche è sempre un qualcosa di molto forte”, e quando si parla di immigrazione lo è ancora di più. Sul dossier “c’è una parte politica e una parte non politica, e noi facciamo vedere che nella pratica si può fare, che non c’è paura, che si può accogliere senza mettere a rischio la sicurezza”. Ogni riferimento a Matteo Salvini non è casuale. Anzi. “Il ministro dell’interno dimentica che non serve il braccio di ferro. Devi negoziare, devi convincere. Devi andare nei luoghi dove serve andare. Altrimenti si esce dalla politica”.