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    Home » Economia » Il 2,8% delle esportazioni italiane sono frutto della corruzione

    Il 2,8% delle esportazioni italiane sono frutto della corruzione

    Il rapporto annuale dell’Ong Trasparency International piazza l'Italia tra i Paesi in cui c'è una “moderata applicazione” delle norme anti-corruzione della Convenzione Ocse: “Si può fare di più. Bisogna rafforzare la protezione legale per chi denuncia i casi, e creare banche dati pubbliche sui procedimenti passati ed in corso”

    Giuseppe Vargas</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@giuvar11" target="_blank">@giuvar11</a> di Giuseppe Vargas @giuvar11
    24 Ottobre 2014
    in Economia

    L’Italia sta applicando la Convenzione internazionale contro la corruzione? Poco, o meglio “moderatamente”, con il 2,8% di casi di corruzione riscontrati nelle esportazioni nel periodo  2010-2014. E dovrebbe fare di più anche per proteggere gli “informatori” che denunciano i casi sospetti e per mettere a disposizione di tutti i dati dei procedimenti. A dirlo è il rapporto annuale della Ong Trasparency International “Exporting Corruption Progress”, che ha valutato la forza delle misure che i Paesi, firmatari delle Convezione Ocse in materia, hanno preso per fermare il fenomeno della corruzione e delle tangenti da parte di aziende o compagnie nei confronti di funzionari stranieri per accedere a nuovi  o già esistenti mercati.

    Nel periodo analizzato, Trasparency parla di 14 inchieste avviate in Italia sulla corruzione di funzionari stranieri per favorire le esportazioni. Tuttavia, suggeriscono che la cifra “è probabilmente più alta” in quanto non tutti numeri riguardanti le indagini sono disponibili. Stesso discorso per le inchieste avviate e già concluse. Dei casi giudicati “gravi”, due sono stati conclusi con sanzioni per i colpevoli, altri tre sono tuttora aperti. L’ong cita, fra gli altri, il caso Finmeccanica in cui il Ceo dell’Azienda e una delle sue società sussidiarie sono “accusati di corruzione e riciclaggio di denaro sporco” si legge nel Report.
    Il problema principale nella lotta alla corruzione nell’export, secondo Trasparency, riguarda la mancanza di risorse necessarie per gli investigatori nel monitorare le complesse tecniche di riciclaggio di denaro, sempre più utilizzate per nascondere offerte di tangenti.

    In particolare, si suggeriscono all’Italia alcune misure per rafforzare la lotta contro la corruzione nelle esportazioni e migliorare la trasparenza dei dati disponibili, fra cui principalmente: maggiore protezione legale di coloro che denunciano episodi di corruzione, miglioramento dell’accessibilità alle informazione nei procedimenti sulla corruzione internazionale attraverso l’utilizzo di “open data”, creazione di banche dati nazionali sui casi di corruzione (anche quelli in corso) e diffusione di informazioni riguardanti i processi che portano molti imputati a patteggiare.

    In Europa, ad applicare con maggior cura la Convenzione sono Gran Bretagna, Germania e Svizzera in cui risulta una “applicazione attiva delle norme”; d’altra parte fanno peggio dell’Italia la maggioranza degli Stati membri, fra i quali Spagna, Norvegia, Irlanda, e Grecia.
    Il giudizio conclusivo che l’Ong esprime è piuttosto negativo: “Solo 4 paesi su 41 firmatari applicano attivamente la Convezione perseguendo le compagnie che corrompono funzionari stranieri per ottenere o gonfiare i contratti, e ottenere licenze e concessioni”.

    La Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, firmata a Parigi nel 1997, è entrata in vigore il 15 febbraio 1999. Ha scopo di fornire un più ampio quadro giuridico in materia di corruzione ed è vincolante per gli Stati aderenti (anche non membri dell’Ocse). Impone inoltre agli Stati aderenti di considerare reato il fatto di corrompere funzionari stranieri per ottenere vantaggi nel commercio internazionale (esportazioni, appalti, investimenti, autorizzazioni e così via).

    Tags: corruzioneesportazioniopen datatrasparenza

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