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    Home » Economia » UE vuole parità di retribuzione, ma la trasparenza vale solo per l’1% delle imprese

    UE vuole parità di retribuzione, ma la trasparenza vale solo per l’1% delle imprese

    La proposta di direttiva su applica a chi ha più di 250 dipendenti. Restano escluse le PMI, che danno lavoro al 66% delle persone attive dentro società

    Emanuele Bonini</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/emanuelebonini" target="_blank">emanuelebonini</a> di Emanuele Bonini emanuelebonini
    4 Marzo 2021
    in Economia
    [foto: European Institute for Gender Equality]

    [foto: European Institute for Gender Equality]

    Bruxelles – Parità salariale, la Commissione ci prova. Fare in modo che uomini e donne siano pagati allo stesso modo per le stesse mansioni è una delle priorità del team von der Leyen, che presenta la proposta di direttiva per l’eguaglianza delle buste paga. Il documento legislativo introduce primi tentativi di riforma di un sistema che vede le dipendenti sfavorite rispetto ai colleghi uomini. In base alle proposte di modifica normativa i datori di lavoro “con almeno 250 dipendenti” devono rendere pubbliche all’interno della loro organizzazione informazioni sul divario retributivo tra lavoratrici e lavoratori.

    La proposta di modifica normativa si rivolge di fatto alle sole grandi imprese, e questo mostra il limite della proposta della Commissione UE. Come riconosce lo stesso esecutivo comunitario le piccole e medie imprese rappresentano il 99% del totale dell’attività produttiva. Restano escluse dunque circa 22 milioni di imprese da questa iniziativa. Le parole della commissaria per Valori e trasparenza, suonano dunque come ironiche. “I datori di lavoro devono diventare più trasparenti in merito alle loro politiche retributive”, dice Vera Jourova, convinta che “non ci saranno più due pesi e due misure”. Ma due dipendenti di impresa su tre lavorano per conto di PMI, e dunque il 66% delle persone restano scoperti dal diritto-dovere di informazioni sulla retribuzione.

    Per i fortunati e soprattutto le fortunate interessate dalla proposta di direttiva della Commissione UE si riconoscono comunque meccanismi di tutela. Uno di questo è il risarcimento, “compreso il recupero integrale della retribuzione arretrata e dei relativi premi”, in caso di discriminazione, con onere della prova a carico del datore di lavoro. Sarà questi, e non il lavoratore, a dover provare che non vi è stata discriminazione in materia di retribuzione. Inoltre “gli Stati membri dovrebbero introdurre sanzioni specifiche per le violazioni della norma sulla parità retributiva, compreso un livello minimo di ammende”.

    Nelle grandi imprese, “a fini interni”, si deve procedere fornire informazioni sul divario retributivo tra i dipendenti di sesso femminile e quelli di sesso maschile per categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. In caso di divario retributivo pari ad almeno il 5% va giustificato il diverso regime salariale. In caso di mancata giustificazione, “i datori di lavoro dovranno effettuare una valutazione delle retribuzioni, in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori”.

    La proposta odierna passerà ora al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio. Una volta adottata, gli Stati membri avranno due anni di tempo per recepire la direttiva nel diritto nazionale e comunicare i testi pertinenti alla Commissione. La Commissione effettuerà una valutazione della direttiva proposta dopo otto anni.

    La proposta sulla trasparenza salariale “costituisce un passo importante verso l’applicazione del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra donne e uomini”, sostiene la commissaria per l’Uguaglianza, Helena Dalli. Ma è appunto un passo.

    Tags: diritti dei lavoratorigap retributivihelena dalliimpreselavoropmisalariueuguaglianza di genere

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