Strasburgo, dall’inviato – Cinque settimane di occupazione per consumare un massacro di civili. Le testimonianze, le fotografie e i video che arrivano da Bucha, città di circa 35 mila abitanti nella regione di Kiev, non lasciano dubbi sulle atrocità commesse dall’esercito russo sul territorio ucraino invaso dal 24 febbraio scorso. Abitanti uccisi e gettati in fosse comuni, una stanza per le torture, cadaveri con le mani legate dietro la schiena dopo la fucilazione sul posto, altri ancora freddati mentre erano in bicicletta e lasciati a imputridire per strada. Sono scene di una guerra agghiacciante, che smentiscono con ancora più forza la tesi della propaganda russa secondo cui l’attacco all’Ucraina risponde solamente alla necessità di rovesciare un establishment neo-nazista e di mettere fine a un presunto genocidio nella regione del Donbass (smentito dalla sentenza della Corte internazionale di giustizia).
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L’invasione russa si sta dimostrando a tutti gli effetti una guerra di occupazione in cui i civili non vengono risparmiati, anzi, sono uno dei bersagli privilegiati dalle forze armate: non solo bombardamenti contro edifici civili, o dove gli abitanti trovano riparo, ma anche crimini di guerra contro la popolazione inerme, come dimostrano i fatti di Bucha e la devastazione a Irpin’. Di fronte a tutto questo è difficile continuare a parlare solo di una ‘guerra di Putin’. Lo è sicuramente nella volontà di scatenare un attacco ingiustificato a un Paese sovrano, ma i soldati russi sembrano sempre meno incoscienti o non allineati a una guerra di cui inizialmente si ripeteva non conoscessero i motivi e gli obiettivi.
Alle immagini e ai video che arrivano da Bucha liberata dall’esercito ucraino – con le forze armate russe che al momento si stanno ritirando per concentrare gli attacchi con tutta probabilità nel sud e nell’est del Paese – l’UE sta reagendo con una nuova determinazione nel rispondere all’ennesima ‘linea rossa’ varcata dal Cremlino e dal suo esercito di occupazione. Oltre alle nuove pressioni per un possibile embargo sul petrolio e il gas russo (non semplice da realizzare a livello comunitario, ma in ogni caso più che mai al centro delle discussioni a Bruxelles), i leader dell’Unione stanno ragionando su come rendere responsabile Mosca dei crimini perpetrati sul suolo ucraino. Già ieri il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, aveva annunciato che l’Unione “sta assistendo l’Ucraina e le ONG nella raccolta delle prove necessarie per il perseguimento nei tribunali internazionali“, oltre alle “nuove sanzioni in arrivo” contro la Russia.
Ma è la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, a rendere noto che UE e Ucraina hanno istituito “una squadra investigativa comune per raccogliere prove e indagare sui crimini di guerra e contro l’umanità“, dopo un colloquio telefonico con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sulla reazione al massacro di Bucha. Bruxelles “è pronta a rafforzare questo sforzo inviando squadre investigative sul campo per sostenere le procure ucraine”, con l’assistenza delle agenzie dell’UE Eurojust ed Europol. La presidente von der Leyen ha incaricato il commissario per la Giustizia, Didier Reynders, di “seguire e prendere contatto con il procuratore generale ucraino”, per fornire “sostegno tecnico e finanziario” a Kiev. La prospettiva è quella di un’indagine internazionale, grazie ai colloqui con la Corte penale internazionale dell’Aja (ICC) – da non confondere con la Corte internazionale di giustizia, che ha sede sempre all’Aja ma è un organo giudiziario delle Nazioni Unite – per “unire le forze e perché faccia parte della squadra investigativa comune“, permettendo di raccogliere, analizzare ed elaborare le prove “nel modo più completo ed efficace possibile”.
I spoke with President @ZelenskyyUa about the atrocious murder of civilians in Bucha and elsewhere in Ukraine.
The EU is ready to send Joint Investigation Teams to document war crimes in coordination with the Ukrainian Prosecutor General.@Europol and @Eurojust will support.
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) April 4, 2022
Le possibilità sul tavolo sono l’istituzione di un Tribunale speciale per i crimini di guerra russi in Ucraina (sul modello del Tribunale di Norimberga) e il ricorso alla stessa Corte penale internazionale, il cui procuratore generale, Karim Khan, ha già accolto la richiesta di 41 Paesi di aprire un’indagine per crimini di guerra con un focus sulle violenze contro i civili negli otto anni tra l’occupazione della Crimea e l’invasione del 2022. Il tribunale fu creato 20 anni fa con l’obiettivo di perseguire i crimini di guerra, contro l’umanità, di aggressione e i genocidi, quando i tribunali dei singoli Stati non sono in grado di perseguirne i responsabili. La giurisdizione della Corte si estende solo sui Paesi che hanno deciso di accettarla e questo è un problema nel caso della guerra tra Russia e Ucraina: Mosca non ha ratificato lo Statuto dell’ICC, mentre Kiev non l’ha mai firmato. Tuttavia, sette anni fa l’Ucraina ha accettato la giurisdizione per i presunti crimini russi dopo l’invasione della Crimea nel 2014 e questo oggi permette alla Corte di avviare un’indagine di propria iniziativa (non su richiesta di Kiev).
A livello teorico, l’ICC potrebbe incriminare Putin e altri responsabili russi dei crimini di guerra in Ucraina, ma non potrebbe processarli senza averli prima arrestati e portati davanti al giudice. Cosa che rende tutto più complesso, dal momento in cui la Corte non ha una propria forza coercitiva e dovrebbe affidarsi alle autorità dei singoli Paesi, la Russia in questo caso. La mancata ratifica dello Statuto fa sì che Mosca non abbia nemmeno l’obbligo legale di cooperare con la Corte penale internazionale e arrestare e indagare gli indagati per sottoporli a processo per crimini di guerra. La Corte potrebbe perseguire i leader russi anche per il reato di aggressione – come nel caso dell’invasione dell’Ucraina, non determinata né dal principio di autodifesa, né da un’autorizzazione delle Nazioni Unite – ma per l’avvio dell’indagine servirebbe la richiesta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (sempre per il fatto che Mosca non ha ratificato lo Statuto). La Russia è però uno dei cinque membri permanenti con diritto di veto e può bloccare a monte ogni decisione in questo senso.