Bruxelles – Le autorità italiane dovrebbero smettere di intimidire i giornalisti e astenersi da azioni che potrebbero mettere in pericolo la riservatezza delle loro fonti. È quanto ha dichiarato il Comitato per la Protezione dei giornalisti, associazione internazionale per la libertà di stampa, ieri (14 giugno), in relazione alle perquisizioni avvenute nella redazione di Report (Raitre) e del giornalista Paolo Mondani il 24 maggio scorso.
Tutto parte dall’inchiesta ‘La bestia nera’. A trent’anni dalla strage di Capaci (23 maggio 1992), il 23 maggio 2022 Report manda in onda un servizio che cerca di ricostruire i legami tra gli estremisti di destra, la P2 di Licio Gelli e gli uomini di Cosa Nostra nell’omicidio del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta. Sulla base di vecchi verbali legati a Alberto Lo Cicero, l’autista – all’epoca collaboratore di giustizia – di un boss di Cosa Nostra, una serie di ‘personaggi di spicco’ della mafia si sarebbe ritrovata a Capaci pochi giorni prima dell’uccisione di Falcone. Tra questi, anche Stefano delle Chiaie, fondatore del movimento Avanguardia Nazionale, già sciolto per fascismo.
Il 24 maggio 2022 la Direzione Investigativa Antimafia perquisisce la redazione di Report e l’abitazione di Mondani, con un’ordinanza firmata dalla Procura di Caltanissetta tre giorni prima, “per verificare la genuinità delle fonti”, come riporta il successivo comunicato stampa della Procura. “Tale perquisizione non riguarda in alcun modo l’attività di informazione svolta da tale giornalista – prosegue il documento – benché la stessa sia presumibilmente susseguente ad una macroscopica fuga di notizie, riguardante gli atti posti in essere da altro ufficio giudiziario”.
Mondani ha però negato il reato di rivelazione del segreto di ufficio: “Le dichiarazioni di Alberto Lo Cicero e della sua compagna Maria Romeo sono da tempo note alla Direzione Nazionale Antimafia e alla Procura di Caltanissetta. Sorprende che 30 anni dopo i fatti di Capaci si indaghi su quelle dichiarazioni solo ora”. Risulta “curioso che nel decreto di perquisizione del sottoscritto la procura di Caltanissetta chieda di esibire i primi verbali dei colloqui investigativi nei quali Lo Cicero inizialmente raccontava molti più particolari che non riporterà, per motivi da accertare, nei successivi verbali di indagine – ha replicato Mondani – anche la Romeo veniva sentita più volte, e più volte ha ribadito le circostanze a noi riferite”. Lo stesso Mondani ricorda inoltre che “nel frattempo molti documenti sono spariti. Ma è noto che la Procura Generale di Palermo questi documenti li ha ritrovati tanto da spingere la Direzione Nazionale Antimafia a iniziare un’inchiesta”.
Secondo il Comitato per la Protezione dei giornalisti, il mandato autorizzava gli agenti a confiscare documenti digitali e cartacei. È stato poi ritirato intorno alle ore 19 del 24 maggio – mentre la perquisizione era ancora in corso – perché le autorità avevano trovato il documento riservato che stavano cercando nell’abitazione di un ex poliziotto. Nessun sequestro di materiale proveniente dalla trasmissione o dall’inviato, che ha dichiarato anche che la polizia non ha avuto accesso ai suoi dispositivi privati.
Tuttavia, secondo il giornalista, i documenti e il mandato di perquisizione rivelavano che la polizia aveva pedinato la troupe giornalistica e filmato di nascosto il suo incontro con una fonte chiave. Secondo quanto Mondani ha detto al Comitato per la Protezione dei giornalisti, la polizia avrebbe anche intercettato le sue telefonate. Circa un mese prima dalla messa in onda del servizio, l’inviato era stato inoltre convocato dalla Procura di Caltanissetta per avere informazioni sulle interviste che stava conducendo.
“Le autorità italiane dovrebbero condurre un’indagine rapida e trasparente sulle circostanze dell’irruzione e della perquisizione della redazione del programma investigativo Report e della sorveglianza della sua troupe, spiegare le loro azioni e smettere di molestare i giornalisti nelle loro inchieste legate alla fuga di notizie”, ha dichiarato Attila Mong, rappresentante del Comitato per la Protezione dei giornalisti per l’Europa. “Fare irruzione e perquisire le redazioni e le case dei giornalisti e monitorare le attività di raccolta delle notizie è un qualcosa che non può accadere in uno Stato membro dell’UE“, ha scandito l’attivista, secondo cui “le autorità dovrebbero astenersi da azioni che rischiano di mettere in pericolo la riservatezza delle fonti professionali e che potrebbero avere un effetto raggelante sul lavoro dei giornalisti”.