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Più donne nei cda delle aziende, via libera degli Stati Ue all'accordo con l'Europarlamento

Più donne nei cda delle aziende, via libera degli Stati Ue all'accordo con l'Europarlamento

Ora necessario l'ok finale dell'Europarlamento sulla direttiva della Commissione UE risalente al 2012 per portare le società quotate in borsa dell’UE a nominare almeno il 40 per cento di donne tra gli incarichi di amministratore non esecutivo o il 33 per cento di tutti i ruoli nei consigli di amministrazione

Bruxelles – Più donne ai vertici delle aziende, dopo l’accordo provvisorio tra i negoziatori europei, ora il via libera da parte degli Stati membri. Il Consiglio dell’Ue ha approvato oggi (17 ottobre) l’intesa trovata a giugno con l’Europarlamento sulla proposta di direttiva della Commissione UE avanzata nel 2012 per portare le società quotate in borsa dell’Ue a nominare almeno il 40 per cento di donne tra gli incarichi di amministratore non esecutivo o il 33 per cento di tutti i ruoli nei consigli di amministrazione.

La direttiva – che i governi avranno 2 anni di tempo per recepire nell’ordinamento nazionale – prevede che gli Stati membri centrino entrambi gli obiettivi entro il 2026, tra quattro anni. Le società quotate che non raggiungono gli obiettivi dovranno adeguare il loro processo di selezione del personale, attraverso processi equi e trasparenti, basati su una valutazione comparativa dei diversi candidati sulla base di criteri chiari e formulati in modo neutrale. Quando le aziende devono scegliere tra candidati ugualmente qualificati, dovrebbero dare la priorità al candidato del sesso sottorappresentato.

La direttiva in questione è quella sulle ‘Donne nei consigli di amministrazione” (“Women on Boards”) per introdurre in UE una procedura aperta e trasparente per la selezione dei posti di lavoro e raggiungere il minimo del 40 per cento a livello comunitario. Nel 2012 era stata la commissaria europea alla Giustizia di allora Viviane Reding, lussemburghese, ad avanzare la proposta e a indicare il 2020 come termine ultimo per applicarla. La direttiva è poi rimasta dieci anni bloccata in Consiglio, avendo incontrato l’opposizione di una minoranza di Stati membri che si sono rifiutati di adottare l’obiettivo come legge a livello comunitario. Tra questi anche la Germania della prima cancelliera donna Angela Merkel e alcuni Stati nordici e baltici. Già a gennaio la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, prima donna presidente dell’esecutivo europeo, ha visto nella presidenza francese la giusta occasione per rilanciare un dibattito necessario, complice il nuovo governo di Scholz a Berlino e il desiderio espresso dal presidente francese Emmanuel Macron di riaprire la questione. Proprio nel suo primo discorso di fronte all’Eurocamera del 19 gennaio scorso, il capo dell’Eliseo ha espresso l’intenzione di riaprire il dibattito sulle quote rosa ai vertici delle aziende europee, portando il Consiglio dell’UE ad approvare la sua posizione negoziale a metà marzo e ora a concludere il negoziato interistituzionale con l’Europarlamento a meno di un mese dalla scadenza della sua presidenza.

Durante questi dieci anni di blocco legislativo, sono comunque stati fatti progressi negli Stati membri sulla presenza di donne ai vertici delle aziende. Progressi sì, ma ancora lenti e soprattutto non omogenei e irregolari tra Stati membri: a ottobre 2021 si stimava che solo il 30,6 per cento dei membri del consiglio delle più grandi società quotate in borsa e solo l’8,5 per cento dei presidenti del consiglio fossero donne, con enormi differenze tra Paesi. Si passa dal 45,3 per cento in Francia, cui segue l’Italia poco sotto il 40 per cento, all’8,5 per cento di Cipro. Una minoranza di Paesi membri, tra cui la Francia, ha già adottato una serie di misure a livello nazionale per ottenere una rappresentanza più equilibrata di donne e uomini. Dopo il via libera dei governi, è atteso ora solo l’ok dell’Eurocamera che consentirà alla direttiva di essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale.

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