Bruxelles – Dopo lunghe attese e bracci di ferro interminabili tra le forze politiche e il presidente francese Emmanuel Macron, il governo di Michel Barnier si è finalmente riunito per la prima volta oggi (23 settembre) a palazzo Matignon. Ma la strada che ha di fronte è stretta e tutta in salita: c’è il bilancio per l’anno prossimo da approvare, sotto il fuoco incrociato delle opposizioni. La sinistra ha già annunciato una mozione di sfiducia, mentre l’estrema destra aspetta al varco.
Barnier, il premier ministre più anziano della Quinta Repubblica, ha svelato nel weekend la composizione del suo nuovo esecutivo di minoranza: 34 ministri e cinque segretari di Stato, per un governo di centro-destra che strizza l’occhio al conservatorismo cattolico e alla linea dura su migranti e sicurezza. Un governo che mette insieme quello che rimane del campo macronista con i pezzi della destra che si definisce “repubblicana”, cioè i neogollisti e i liberal-conservatori che ancora ritengono troppo estremista il Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen e Jordan Bardella.
Nella mattinata di lunedì si è celebrato il passaggio delle consegne tra i ministri uscenti e i loro successori, mentre il nuovo governo si è incontrato al gran completo per una colazione di lavoro che dovrebbe lasciare poi spazio nel pomeriggio al primo Consiglio dei ministri del gabinetto Barnier all’Eliseo, alla presenza del capo dello Stato. L’inquilino di Matignon ha chiesto ai membri della sua squadra di essere “irreprensibili e modesti” e di mostrare “rispetto per tutti i nostri concittadini e per tutti i partiti politici” in un momento in cui il clima politico d’Oltralpe è particolarmente surriscaldato.
La nomina che ha fatto più discutere è senza dubbio quella di Bruno Retaliau, che ha sostituito questa mattina il ministro uscente Gerard Darmanin agli Interni. Conosciuto come un “conservatore radicale”, ha dichiarato che la sua sarà una linea di fermezza poiché i francesi, a suo dire, vogliono “più ordine, ordine nelle strade, ordine alle frontiere”. Ma ci sono diversi membri del gabinetto Barnier, provenienti dal suo stesso partito Les Républicains (Lr), che hanno posizioni contrarie al riconoscimento dei matrimoni omosessuali o all’inserimento in costituzione della libertà di accesso all’aborto: ad esempio i segretari di Stato Laurence Garnier (con delega ai Consumatori), Annie Genevard (Agricoltura), Patrick Hetzel (Istruzione superiore) e Othman Nasrou (Cittadinanza e la lotta contro la discriminazioni).
E così, il leader socialista Olivier Faure ha annunciato che non appena il nuovo premier presenterà le proprie linee programmatiche all’Assemblée nationale verrà depositata una mozione di censura contro il governo “più a destra della Quinta Repubblica” da parte della sinistra (quel Nouveau front populaire che aveva vinto le elezioni pur senza ottenere la maggioranza assoluta), come confermato anche dai rappresentanti de La France insoumise (Lfi) di Jean-Luc Mélenchon. L’appuntamento in Aula è fissato per il primo ottobre, quando Barnier dovrebbe esporre il programma del suo governo ai deputati.
Dall’altro lato dello spettro politico, l’estrema destra del Rassemblement attenderà di sentire il discorso del primo ministro per decidere se sfiduciarlo o meno. Secondo Faure, i lepenisti non voteranno la censura, che sarebbe dunque destinata a fallire. I deputati del Rn sostengono di voler valutare il piano del nuovo governo per il bilancio del 2025, che è la priorità numero uno per Barnier, con la Francia che figura tra gli osservati speciali da Bruxelles sulla gestione dei conti pubblici dopo l’apertura di una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo da parte della Commissione europea lo scorso luglio.
A dimostrazione dell’importanza di questo passaggio, il primo ministro ha messo sotto la propria diretta supervisione il portafoglio del Bilancio e dei conti pubblici, delegato al macronista Laurent Saint-Martin. Il ministro dell’Economia e delle finanze Antoine Armand, anch’esso proveniente dalle fila di Renaissance, ha promesso di “ridurre la spesa pubblica” ma non ha escluso di dover ricorrere ad “alcuni prelievi eccezionali e mirati”. Parlando di spesa pubblica, un terreno di scontro sarà sicuramente la controversa riforma delle pensioni voluta da Macron, che tanto la destra quanto la sinistra ritengono fumo negli occhi. Il Rn, dai cui voti in Parlamento (o dalla cui astensione) dipende la sopravvivenza dell’esecutivo, non sembra intenzionato a fare sconti. Il deputato Jean-Philippe Tanguy ha ribadito che il suo partito “proporrà sempre di abrogare la riforma” , lanciando un altolà al nuovo gabinetto: “Siamo noi che decideremo se questo governo avrà o meno un futuro”, ha ammonito.
Anche gli altri dicasteri di peso del governo Barnier sono occupati da personalità del centro liberale e della destra gollista. Il nuovo responsabile degli Esteri, che ha sostituito il nuovo candidato francese alla Commissione Ue, Stéphane Séjourné, è il macronista Jean-Noël Barrot (figlio di un altro commissario europeo, Jacques Barrot), che si è impegnato a “difendere il diritto internazionale” e a proteggere il Paese “da ogni interferenza straniera, da ogni minaccia ibrida”. La delega agli Affari europei è andata a Benjamin Haddad, membro di Renaissance, mentre Agnès Pannier-Runacher sarà incaricata della Transizione ecologica. Un altro uomo del presidente è Sébastien Lecornu, l’unico ad aver mantenuto il suo ruolo come ministro delle Forze armate insieme alla compagna di partito Rachida Dati, alla Cultura. La conservatrice Annie Genevard (Lr) gestirà il portafoglio dell’Agricoltura. L’unico ministro che viene dall’area del centro-sinistra è l’ex socialista Didier Migaud, a cui è stata affidata la Giustizia, ma che non era in politica attiva dal 2010.