Milano – La Germania è pronta a fare un bello scherzetto a un milione e mezzo di piccole imprese italiane. Sembra una cosa tecnica, ma in realtà è molto pratica. Riguarda i pagamenti.
Bruxelles sta da oltre un anno portando avanti un testo di regolamento per fissare a 30 giorni il limite massimo per poter liquidare una fattura, ma soprattutto le grandi aziende non hanno alcuna intenzione di fare in fretta. Così come non vuole essere precipitosa Berlino, che invece grazie a pagamenti allungati può trarre un vantaggio di liquidità e quindi di competitività nei confronti dei fornitori, soprattutto quelli esteri, costretti ad attendere mesi su mesi, ad andare in banca chiedendo prestiti fino al 10 per cento di interessi e ad essere quindi meno competitivi.
Se poi si considera che da circa 170 giorni, dopo le elezioni europee, manca ufficialmente un governo Ue, è facile comprendere che chi vuole continuare a pagare le aziende quando ha tempo e voglia, ha gioco facile nel provare a far cadere una riforma che garantirebbe solidità, continuità e programmazione per i milioni di piccoli imprenditori europei ed italiani.
Ogni anno nella Ue vengono emesse circa 18 miliardi di fatture, più di 500 al secondo. Beni e servizi sono spesso forniti con pagamenti dilazionati, ovvero il fornitore (creditore) concede al cliente (debitore) un termine per pagare la fattura (credito commerciale), dopo la consegna dei beni o il servizio concordato nel contratto. I pagamenti ritardati sono pagamenti non effettuati entro il termine concordato o legale. Colpiscono ovviamente le imprese di tutti i settori e di tutti gli Stati, ma in misura sproporzionata colpiscono gravemente le Pmi.
Per questo a settembre 2023 la Commissione Ue aveva varato una proposta di regolamento per limitare i termini di pagamento a 30 giorni. Secondo le stime di Bruxelles “almeno il 30 per cento delle Pmi europee beneficerebbe direttamente di questa disposizione”, anche se la cifra è sicuramente per difetto.
La combinazione del limite massimo dei termini di pagamento con deterrenti come il pagamento automatico degli interessi e dell’aumento del compenso dovrebbe ridurre il numero di fatture pagate in ritardo, oltre a ridurre significativamente i costi associati alle seccature e al tempo trascorso a rincorrere pagatori ritardatari. Si stima che il numero di giorni-persona che un’azienda impiega ogni anno per recuperare i ritardi vari da 5 giorni in Germania a oltre 15 giorni in Spagna. Anche sulla base di ipotesi molto prudenti, si potrebbe risparmiare un totale annuo di 27,4 milioni di ore-uomo per l’economia dell’Ue, l’equivalente di 5,845 miliardi, scoraggiando i ritardi di pagamento.
Ecco, da mesi non si fa nulla al Consiglio Ue: voti slittati grazie soprattutto al pressing di alcuni Paesi, una decina, capitanati dalla Germania insieme ad altri Stati, soprattutto dell’Est, che hanno sempre puntato a stravolgere la proposta originaria. Al Parlamento europeo, la relatrice Roza Thun di Renew aveva provato a individuare termini un po’ più lunghi (ma comunque chiari) per i prodotti a lenta rotazione. Ppe e il gruppo dei conservatori–Ecr avevano invece presentato emendamenti non proprio in favore delle Pmi proponendo in particolare di eliminare alcune garanzie come quelle contenute nell’articolo 4 del testo varato da Bruxelles, il quale impone che il contraente principale in una gara d’appalto dimostri alla Pa di aver pagato i subcontraenti, quasi sempre le Pmi.
Un’eventuale cancellazione di questa norma, considerando il caso italiano dove si moltiplicano le gare pubbliche per il Pnrr, lascerebbe però le nostre piccole e medie aziende ancora nell’incertezza dei pagamenti. Tutto questo sembra però preistoria di fronte all’immobilismo post-elezioni.
Gli Stati membri e i partiti presenti nell’europarlamento si sono concentrati negli ultimi mesi sulle nomine dei commissari, le piccole imprese però chiedono invece altro: chiedono di poter incassare le fatture in termini civili.
Anche da parte dei partiti italiani non emergono dichiarazioni contro i tentativi tedeschi di insabbiare tutto e magari trasformare il provvedimento da regolamento, quindi immediatamente applicabile in tutti i Paesi Ue, a direttiva, ovvero a più libera interpretazione da parte dei singoli stati. Col risultato beffardo che ci sarebbero, nel caso il testo diventasse effettivamente una direttiva, Paesi e più velocità di pagamenti. Un danno ulteriore per l’Italia, dove i tempi ultimi per saldare le fatture sono migliorati rispetto a decenni fa, ma rimangono ancora lunghi specie quando il committente è la Pa.
A inizio novembre la Ragioneria Generale dello Stato ha chiesto ufficialmente di rispettare i termini. Nessun vincolo però, solo una raccomandazione. Perché la stessa raccomandazione il governo non la fa nelle stanze di Bruxelles?