Bruxelles – Con 370 voti a favore, 282 contrari e 36 astenuti, prende il via la seconda Commissione europea targata Ursula von der Leyen. La più debole di sempre. Al dibattito all’Eurocamera, la presidente promette che “lavorerà sempre dal centro”, con tutte le “forze democratiche pro-europee di quest’Assemblea”. Annuncia le prime iniziative che segneranno il nuovo mandato, distribuisce le garanzie necessarie ai gruppi che la sosterranno. Ma le reazioni dei gruppi politici e l’esito del voto – il numero dei sì è il più basso da quando si elegge la Commissione – confermano una volta di più che la maggioranza europeista riparte zoppa, vittima del tentativo del Partito Popolare di allargarla definitivamente ai Conservatori di Giorgia Meloni.
Come prova della fede europeista del suo gabinetto, la presidente della Commissione europea annuncia che costruirà la “prima grande iniziativa” dell’esecutivo intorno ai tre pilastri indicati dal rapporto sulla competitività europea di Mario Draghi. La “Bussola della competitività”, che guiderà il lavoro di Bruxelles per colmare il divario con Stati Uniti e Cina, per coniugare la decarbonizzazione e la competitività, per aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze da Paesi terzi.
In un abile gioco di equilibrismo, von der Leyen rassicura Verdi e socialisti, ribadendo l’impegno per mantenere gli obiettivi del Green Deal europeo che si trasformerà in un più pragmatico Clean Industrial Deal per “essere più agili e accompagnare meglio le persone e le imprese lungo il percorso”. Si fa tirare la maglia da chi chiede a gran voce di riaprire il dibattito sullo stop ai motori endotermici al 2035, annunciando che supervisionerà direttamente un “dialogo strategico sul futuro dell’industria automobilistica“, un “orgoglio europeo da cui dipendono milioni di posti di lavoro”. Promette di ascoltare le aziende “schiacciate dagli oneri normativi”, di “snellire le norme” e “dare certezza giuridica” ai comparti industriali.
Insiste su un punto su cui sa che la maggioranza è unita, la guerra che “infuria ai confini dell’Europa”. Von der Leyen sostiene che la Russia “spende fino al 9 per cento del Pil per la Difesa”, mentre l’Ue non arriva che all’1,9 per cento. “Presenteremo un Libro bianco sul futuro della difesa europea nei primi cento giorni”, rilancia la presidente, perché “la nostra spesa deve aumentare, c’è bisogno di un mercato unico della difesa e di rafforzare la base industriale”. Infine, von der Leyen riconosce il ruolo dell’Eurocamera, custode della sovranità popolare, la cui fiducia “dovrà essere continuamente guadagnata per i prossimi cinque anni”. E afferma di aver chiesto ai suoi Commissari di “impegnarsi di più ed essere più trasparenti”, di “essere più presenti in questa plenaria e in ciascuna delle commissioni parlamentari”.
Weber (Ppe) depone le armi, Garcia Perez (S&d): “C’è un accordo, va rispettato”
Dopo l’intervento di von der Leyen, prendono parola i leader dei gruppi politici. Un nuovo capitolo dello scontro delle ultime settimane, con una novità: il Ppe che assume la postura del gruppo responsabile e pronto a tenere unite tutte le anime della maggioranza europeista. Dai Verdi fino a Ecr. Manfred Weber sceglie astutamente di deporre le armi, anzi di puntarle contro un nuovo nemico comune: “L’AfD che chiede di lasciare l’Europa, Le Pen, Orban. Loro sono nemici politici”, afferma all’Eurocamera. Mentre “socialisti, liberali e popolari sono i partiti fondatori dell’Europa di oggi”, i verdi “hanno contribuito molto” e anche i conservatori “vogliono rafforzare l’Europa”.
Ma l’abbraccio di Weber è sospetto, perché i continui ammiccamenti verso l’estrema destra da parte del Ppe hanno di fatto azzerato la fiducia tra i gruppi della maggioranza. Per Iratxe Garcia Perez, il sì socialista non “è un assegno in bianco”. L’avvertimento a von der Leyen e Weber non potrebbe essere più esplicito: “Abbiamo un accordo tra le forze europeiste e gli accordi vanno rispettati. Non accetteremo il doppio gioco, non si può costruire l’Europa con chi la vuole distruggere“, dichiara la leader S&d in Aula. Linea sposata dal terzo polo su cui si fonda la maggioranza, i liberali: la capogruppo Valerie Hayer evidenzia che oggi all’Eurocamera “ci sono due maggioranze possibili”, ma che quella denominata ‘Venezuela’ – composta da Ppe, Conservatori, Patrioti e Sovranisti – “è contro natura”.
I due gruppi con un piede dentro e uno fuori dalla maggioranza hanno umori diametralmente opposti. Da un lato i Verdi, che ingoiato il boccone amaro della vicepresidenza esecutiva a Raffaele Fitto e viste le “garanzie ottenute sul Green Deal e lo Stato di diritto”, annunciano che “una risicata maggioranza del gruppo è a favore del via libera a questa Commissione”. Dall’altro i Conservatori e Riformisti, con Nicola Procaccini che dichiara con soddisfazione di aver “assistito con un certo distaccato divertimento allo psicodramma delle sinistre in preda a convulsioni per la vicepresidenza assegnata a un conservatore italiano”. Il meloniano, capogruppo di Ecr, tira acqua al suo mulino affermando che “non esiste un vincolo di maggioranza“, ma che a Bruxelles “fortunatamente le maggioranze qui si formano sui contenuti e possono cambiare ad ogni votazione”.
Rimangono l’estrema destra e la sinistra radicale, che attaccano senza riserve von der Leyen e l’accordo tra i gruppi della maggioranza. Per Jordan Bardella, capogruppo dei Patrioti per l’Europa, il Collegio dei commissari è formato da personaggi “anonimi, sconosciuti, non eletti da nessuno”, che “in un corridoio di Bruxelles” influenzeranno la vita di 450 milioni di persone. Per il delfino di Marine Le Pen l’Ue “è diventata il malato a livello mondiale”. Dalla parte opposta dell’Aula, la leader della Sinistra europea, Manon Aubry, accusa von der Leyen di aver “srotolato il tappeto rosso all’estrema destra“, consegnando la vicepresidenza esecutiva a Fitto, “un post-fascista conosciuto per i suoi scandali di corruzione”.
Il voto incorona la Commissione europea più debole di sempre
Alla fine, a votare in blocco, senza nemmeno una defezione, perché si instauri il von der Leyen-bis sono solamente i liberali. Tra i popolari 25 franchi tiratori – la delegazione del Partido Popular spagnolo e tre eurodeputati sloveni -, mentre i socialisti contano 25 contrari e 18 astenuti. La delegazione del Pd vota sì ad eccezione di Cecilia Strada e Marco Tarquinio, ma “vigilerà sul programma senza fare sconti”, ha dichiarato Nicola Zingaretti. Nelle fila S&d, si oppongono i francesi di Raphael Glucksmann, mentre la maggior parte della delegazione tedesca si astiene.
Si spaccano a metà i Verdi, con gli italiani Ignazio Marino, Benedetta Scuderi e Leoluca Orlando nel fronte dei no, e i conservatori, con i 24 di Fratelli d’Italia tutti a favore. Contrari in blocco la Sinistra europea, i Patrioti e l’Europa per le Nazioni Sovrane. Il voto contrario della Lega, seppur in linea con la decisione del gruppo dei Patrioti, evidenzia le frizioni tra gli alleati di governo a Roma, con Fratelli d’Italia e Forza Italia in prima linea per il via libera alla Commissione europea e il Carroccio no.
I 370 voti a favore ottenuti da von der Leyen per il suo Collegio – appena il 51,4 per cento dei 720 eurodeputati – mettono in luce due aspetti. Non solo sono 31 in meno rispetto ai 401 che a luglio avevano decretato la sua conferma alla guida della Commissione europea, ma il risultato più basso dal 1995 ad oggi, da quando cioè l’Eurocamera elegge il Collegio dei commissari.