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    Home » Politica Estera » La battaglia delle ong belghe contro l’appalto ad un’impresa spagnola che opera in Cisgiordania

    La battaglia delle ong belghe contro l’appalto ad un’impresa spagnola che opera in Cisgiordania

    Quattro sigle della società civile hanno adito il Consiglio di Stato federale per impedire che il gruppo ferroviario Sncb/Nmbs stacchi un assegno multimiliardario per l'azienda basca Caf, coinvolta nei progetti degli insediamenti illegali israeliani

    Francesco Bortoletto</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/bortoletto_f" target="_blank">bortoletto_f</a> di Francesco Bortoletto bortoletto_f
    26 Agosto 2025
    in Politica Estera
    Trasporto Ferroviario

    Treni dell'Sncb alla stazione ferroviaria di Mons, in Belgio (foto: Eric Lalmand/Afp)

    Bruxelles – La società civile belga vuole impedire che i soldi dei contribuenti contribuiscano a sostenere i crimini commessi da Israele contro i palestinesi, dal genocidio in corso nella Striscia di Gaza all’apartheid in Cisgiordania. Nel mirino di una serie di gruppi per i diritti umani, supportati dalla relatrice speciale dell’Onu Francesca Albanese, è finita una commessa multimiliardaria affidata dalle ferrovie pubbliche nazionali ad un’azienda spagnola che fa affari con l’economia dell’occupazione israeliana.

    Durante un incontro con la stampa, una coalizione di organizzazioni non governative con sede in Belgio ha ribadito oggi (26 agosto) il proprio impegno per evitare che l’Sncb/Nmbs, il gruppo proprietario delle ferrovie federali, proceda con l’assegnazione alla spagnola Construcciones y Auxiliar de Ferrocarriles (Caf) di un contratto da 3 miliardi di euro per l’acquisto di 600 vagoni. La prima designazione della Caf come vincitrice del bando risale allo scorso febbraio: è stata poi sospesa ad aprile e successivamente riconfermata a luglio.

    L’appello lanciato da Al-Haq Europe, Intal, Vrede vzw e 11.11.11 è semplice: i soldi pubblici non devono finire nelle tasche di un’impresa che con le sue attività nei territori palestinesi occupati alimenta quella che la relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, definisce la “economia del genocidio” dello Stato ebraico, basata sulla pulizia etnica, la distruzione, il furto di terre e, in definitiva, la violazione sistematica dei diritti umani e del diritto internazionale.

    demolizioni Cisgiordania Palestina
    Demolizioni israeliane supervisionate dall’Idf a Judeira, nella Cisgiordania occupata (foto: Zain Jaafar/Afp)

    Essendo coinvolta in dal 2019 nella costruzione e manutenzione di una linea tramviaria che collega la Gerusalemme Est occupata con gli insediamenti illegali in Cisgiordania, sostengono le ong, l’azienda basca va esclusa dalla gara d’appalto. “Non si può firmare un contratto con un’azienda profondamente coinvolta nella politica di occupazione”, osserva Willem Staes di 11.11.11.

    Staes e i suoi collaboratori spiegano che il Belgio, in quanto Stato membro dell’Ue, sostiene la soluzione a due Stati, ma che i legami economici di Bruxelles con le colonie israeliane illegali costituiscono de facto una violazione degli obblighi giuridici del Paese. L’Sncb, stando alla loro denuncia, non ha incorporato nella procedura d’appalto alcuna analisi del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale da parte della Caf. Una mancanza che potrebbe configurare una “grave negligenza professionale” per le ferrovie federali ai sensi della normativa belga.

    Le quattro sigle della società civile hanno intrapreso un’azione legale contro l’Sncb di fronte al Consiglio di Stato, la più alta istanza di giudizio del Belgio in ambito amministrativo, che dovrebbe discutere la questione la prossima settimana ed emettere una sentenza entro tre settimane. Giustificano questo procedimento irrituale con la necessità di creare “un precedente cruciale per ritenere le istituzioni pubbliche responsabili dei loro legami economici con aziende coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani“, come si legge in un comunicato congiunto delle associazioni.

    Pure Albanese ha ribadito la centralità del concetto di responsabilità, declinandolo su due piani distinti ma collegati. Da un lato la responsabilità pubblica, per cui è necessario chiedere conto a decisori politici e istituzioni dei loro legami con entità che si macchiano di crimini tanto efferati.

    “I doveri in capo agli Stati e le responsabilità in capo alle aziende sono due facce della stessa medaglia”, ragiona l’avvocata. La stessa Caf, ricorda, è già presente nel database dell’Onu dove sono registrate le aziende che coi loro affari alimentano le violazioni israeliane, incluse la segregazione e lo sfollamento forzato. L’impresa basca, sostiene, “è un attore chiave” negli sforzi per la “annessione permanente di terra palestinese“.

    Francesca Albanese
    La relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati, Francesca Albanese (foto: Saverio De Giglio via Imagoeconomica)

    Albanese denuncia come “scioccante” l’immobilità dei governi mondiali, incapaci di mettere in campo “una risposta politica robusta” nei confronti di Israele. A partire da quelli dei Ventisette che, dopo oltre 22 mesi di sterminio quasi scientifico (accoppiato ad una carestia orchestrata in maniera artificiale, come certificato dall’Onu), rimangono divisi persino su una misura blanda come la sospensione parziale dei fondi Horizon+ per Tel Aviv.

    Iniziative come quella della Global Sumud Flotilla – forse la mobilitazione transnazionale più ampia di sempre, per rompere l’assedio di Gaza e far entrare nella Striscia gli aiuti umanitari – sono importanti, ragiona, “ma è responsabilità degli Stati” reagire in maniera strutturale. “L’Ue e i suoi Paesi membri non possono interagire con Israele come se nulla fosse“, incalza, evidenziando come lo Stato ebraico “si è spinto molto più in là” del Sud Africa nell’epoca dell’apartheid, finito giustamente nel mirino di sanzioni e boicottaggi internazionali.

    D’altra parte, la relatrice Onu ha rinnovato l’appello alla responsabilità individuale dei singoli cittadini in un momento storico in cui rimanere in silenzio è ormai un atto di complicità. E suggerisce tre livelli di azione che ogni persona può intraprendere autonomamente: informarsi sulla Palestina, con una prospettiva storica e senza fermarsi alla situazione attuale; fare pressione sul proprio governo tramite proteste e manifestazioni e, infine, fare pressione su aziende e imprese per mezzo di boicottaggi e abitudini d’acquisto e di consumo eticamente consapevoli.

    Tags: ApartheidBelgioCafcisgiordaniafrancesca albanesegenocidioisraelepalestinaSncbStriscia di Gaza

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