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    Home » Politica Estera » Gaza, il piano di Trump è un ultimatum ad Hamas e un assist a Netanyahu. E ha il sostegno dell’Ue e dei Paesi Arabi

    Gaza, il piano di Trump è un ultimatum ad Hamas e un assist a Netanyahu. E ha il sostegno dell’Ue e dei Paesi Arabi

    Venti punti che "realizzano gli obiettivi bellici" di Israele e che hanno ricevuto l'ok del premier israeliano ospite alla Casa Bianca. Il piano prevede l'amminsitrazione temporanea della Striscia da parte di un organismo che farebbe capo a Trump

    Simone De La Feld</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@SimoneDeLaFeld1" target="_blank">@SimoneDeLaFeld1</a> di Simone De La Feld @SimoneDeLaFeld1
    30 Settembre 2025
    in Politica Estera
    US President Donald Trump and Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu (L) arrive for a press conference in the State Dining Room of the White House in Washington, DC on September 29, 2025 (Photo by ANDREW CABALLERO-REYNOLDS / AFP)

    US President Donald Trump and Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu (L) arrive for a press conference in the State Dining Room of the White House in Washington, DC on September 29, 2025 (Photo by ANDREW CABALLERO-REYNOLDS / AFP)

    Bruxelles – Più che un piano di pace, un ultimatum ad Hamas. Nei venti punti per mettere fine al conflitto a Gaza illustrato ieri sera (29 settembre) da Donald Trump, compaiono tutti gli obiettivi di guerra di Benjamin Netanyahu. E pochissime e fumose garanzie per l’autogoverno dei palestinesi nella Striscia. Ma almeno il piano non prevede la scioccante ‘Riviera’ immaginata da Trump a febbraio 2025, quanto basta per ricevere l’endorsement dei leader europei e dei Paesi arabi. Ora, la pressione è tutta sulle spalle di Hamas.

    Cessate il fuoco immediato, scambio degli ostaggi detenuti da Hamas con prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, ingresso massiccio di aiuti umanitari, ritiro graduale dell’esercito di Tel Aviv da Gaza, subordinato alla smilitarizzazione della Striscia, e un governo di transizione guidato da un organismo internazionale. Un organismo il cui direttivo farebbe capo allo stesso Donald Trump. Questi gli step indicati nel piano che il tycoon ha presentato proprio insieme al premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ospite ancora una volta alla Casa Bianca.

    Netanyahu, ossequioso nei confronti del “più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca”, ha confermato il proprio sostegno a un piano “che realizza i nostri obiettivi bellici”. Un piano che non prevede alcun avvicendamento al potere a Tel Aviv, nessuna chiara indicazione per il passaggio di consegne tra l’organismo che risponderà a Trump e l’Autorità Palestinese, niente di più che un orizzonte indefinito per un “percorso credibile verso l’autodeterminazione e la creazione di uno Stato palestinese“.

    trump netanyahu gaza
    Netanyahu nello Studio Ovale con Donald Trump a febbraio 2025 (Photo by ANDREW CABALLERO-REYNOLDS / AFP)(Photo by ANDREW CABALLERO-REYNOLDS / AFP)

    L’unico passaggio che cozza con gli obiettivi di Tel Aviv è la grazia – o un salvacondotto verso Paesi terzi – garantita ai membri di Hamas “che si impegneranno a favore della coesistenza pacifica e alla consegna delle armi”. Trump ha smentito poi le sempre più frequenti dichiarazioni di diversi esponenti del governo di Netanyahu, che parlano apertamente di deportazione della popolazione gazawi: uno dei punti fissa il principio secondo cui “nessuno sarà costretto a lasciare Gaza, e chi desidera andarsene sarà libero di farlo e libero di tornare”.

    Il progressivo ritiro dell’esercito israeliano da Gaza invece lascia spazio a interpretazioni. Il piano sostiene sì che “Israele non occuperà né annetterà Gaza”, ma che le IDF si ritireranno “sulla base di standard, tappe fondamentali e tempistiche legate alla smilitarizzazione che saranno concordati” proprio tra l’esercito di Tel Aviv, gli Stati Uniti, l’autorità di transizione e l’ISF, una “forza internazionale di stabilizzazione temporanea” che dovrebbe addestrare i futuri corpi di polizia palestinesi.

    Anche una volta giunti al “ritiro completo” da Gaza, il piano prevede che Israele possa mantenere una “presenza di sicurezza perimetrale che rimarrà fino a quando Gaza non sarà adeguatamente protetta da qualsiasi minaccia terroristica”. Questa mattina, lasciata Washington, Netanyahu ha dichiarato in un video diffuso sui suoi canali social che “l’esercito israeliano rimarrà nella maggior parte della Striscia di Gaza”. La storia della regione, anche molto recente, mostra che Tel Aviv ha occupato diversi territori palestinesi, così come in Libano e in Siria, istituendo ‘zone cuscinetto’ mai smantellate.

    Qualche dubbio è lecito porselo anche sull’autorità di transizione deputata ad assumere il controllo di Gaza fino a quando l’Autorità palestinese non avrà completato un programma di “riforme”. Sarebbe composta da “esperti internazionali e palestinesi qualificati”, controllata e supervisionata da un “Consiglio di pace” internazionale guidato dallo stesso Trump, e che includerebbe altri capi di stato “da annunciare” e l’ex primo ministro britannico Tony Blair, la cui società di consulenza, il Tony Blair Institute for Global Change (TBI), ha lavorato per diversi mesi ad un piano di sviluppo per Gaza per conto di Washington.

    gaza israele
    Gaza City ridotta in macerie dai bombardamenti israeliani (Photo by AFP)

    Israele ha raso al suolo oltre la metà degli edifici della Striscia di Gaza. Tra cui la maggior parte delle infrastrutture critiche. Per ricostruirla, sarebbe dato spazio a un fumoso “piano di sviluppo economico di Trump“, elaborato “convocando un gruppo di esperti che hanno contribuito alla nascita di alcune delle fiorenti città moderne del Medio Oriente”.

    Eppure, il piano è stato accolto immediatamente con favore dai leader europei, pronti a “dare il proprio contributo”. Si sono espressi in coro i tre pesi massimi della politica estera dell’Ue: Ursula von der Leyen e Antonio Costa hanno “incoraggiato tutte le parti a cogliere ora questa opportunità”, per Kaja Kallas “Hamas deve ora accettarlo senza indugio, iniziando con il rilascio immediato degli ostaggi”. Anche i governi di Regno Unito, Germana, Francia e Italia hanno dato il loro endorsement, così come hanno fatto i leader di Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Indonesia, Turchia, Pakistan ed Egitto, che si sono detti pronti a cooperare con gli Stati Uniti per garantirne l’attuazione.

    Più di tutti, è rilevante il sostegno in linea di principio di Doha, che nei complessi e finora fallimentari negoziati tra Israele e Hamas fungeva da contraltare agli Stati Uniti come mediatore per conto del gruppo terroristico palestinese. Almeno fino a quando, lo scorso 9 settembre, Tel Aviv non ha deciso di bombardare Doha per eliminare alcune figure di primo piano di Hamas, in spregio ai negoziati in corso e alla sovranità territoriale del Qatar. Ieri, Netanyahu ha telefonato al primo ministro dell’emirato, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, “rammaricandosi” per la morte di un cittadino qatariota nel raid e assicurando che “Israele non ha alcuna intenzione di violare nuovamente la vostra sovranità in futuro”.

    Perché Hamas possa accettare la propria capitolazione, il Qatar deve essere necessariamente a bordo. Ma i dubbi sul piano rimangono. Come indicato dall’eruodeputata di Alleanza Verdi e Sinistra Benedetta Scuderi, a bordo della Global Sumud Flotilla, “è difficile immaginare l’esito delle negoziazioni, anche perché sono negoziazioni che stanno avvenendo senza la partecipazione del popolo palestinese e sono portate avanti da due leader, Trump e Netanyahu, la cui attendibilità e la cui affidabilità sono molto dubbie”.

    Tags: Benjamin Netanyahudonald trumpgazahamasisraele

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