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    Home » Politica Estera » Etichette sui prodotti dei territori occupati, “non sono Made in Israel”

    Etichette sui prodotti dei territori occupati, “non sono Made in Israel”

    L'esecutivo comunitario ha pubblicato delle linee guida che chiedono un'etichettatura speciale per le importazioni dalle colonie sulle quali l'Europa non riconosce la sovranità di Tel Aviv. Netanyahu: “Decisione ipocrita, si vergognino”

    Alfonso Bianchi</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@AlfonsoBianchi" target="_blank">@AlfonsoBianchi</a> di Alfonso Bianchi @AlfonsoBianchi
    11 Novembre 2015
    in Politica Estera

    Bruxelles – I prodotti provenienti dai territori della Palestina occupati da Israele devono essere etichettati in maniera chiara, per fare in modo che possano essere chiaramente distinti da quelli provenienti da aziende basate all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dello Stato. Lo chiede la Commissione europea che ha pubblicato le linee guida in materia che erano state fortemente richieste da 16 Paesi membri tra cui l’Italia. La decisione ha però scatenato le immediate reazioni di Israele. “L’Ue deve vergognarsi”, ha tuonato il premier di Tel Aviv Benyamin Netanyahu che ha definito quella di Bruxelles “una decisione ipocrita e che rivela un doppio atteggiamento”, in quanto “si applica solo ad Israele e non a 200 conflitti nel mondo”. Il Paese ha deciso di sospendere alcuni dialoghi diplomatici con l’Ue. Dal canto suo il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, ha precisato che l’esecutivo comunitario “non supporta il boicottaggio o sanzioni contro Israele”, e che i prodotti israeliani continueranno a beneficiare di vantaggi doganali.

    Ma questi benefici non potranno essere estesi anche ai prodotti provenienti dai territori occupati in Palestina. Questo perché, come ribadiscono le linee guida, “l’Unione europea, in linea con il diritto internazionale, non riconosce la sovranità israeliana sui territori occupati da Israele dal giugno del 1967, vale a dire le alture del Golan, la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e non considera che siano parte del territorio di Israele”, ma della Palestina e per questo una indicazione ‘made in Israel’ sarebbe “inesatta e fuorviante”.

    L’indicazione non sarà obbligatoria ma facoltativa, e la scelta se applicarla o meno sarà comunque lasciata agli Stati. La Commissione ricorda che l’etichettatura “diventa obbligatoria quando l’omissione di tali informazioni può trarre in inganno il consumatore sulla vera origine del prodotto o quando tale omissione induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”, ma, specifica, “spetta alle autorità di ciascuno Stato membro decidere se questo sia il caso”.
    In Europa le etichettature obbligatorie riguardano prodotti come frutta fresca e verdura, vino, miele, olio d’oliva, uova, pollame, prodotti biologici e cosmetici. È però consentito che venga indicato come ‘made in Israel’ il vino imbottigliato entro i confini del 1967 ed anche se prodotto con uve coltivate nei territori, per il principio secondo il quale prevale la provenienza in cui viene realizzata la maggior parte del valore aggiunto. Per prodotti alimentari preconfezionati e la maggior parte dei prodotti industriali l’indicazione è invece solo volontaria.

    Dal 2009 il Regno Unito ha già avviato in maniera volontaria una etichettatura che distingue i prodotti israeliani da quelli provenienti dalle colonie, e lo stesso hanno fatto anche la Danimarca nel 2013 e il Belgio nel 2014. Gli altri Paesi si erano impegnati a introdurre misure simili ma aspettavano il responso della Commissione.

    Tags: etichettaturaisraelepalestina

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