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    Home » Politica » Brexit d’oltremare, cosa c’è in ballo nei territori britannici legati all’Ue

    Brexit d’oltremare, cosa c’è in ballo nei territori britannici legati all’Ue

    Circa 250mila persone con passaporto britannico in giro per il mondo rischiano di vedere l'Europa allontanarsi ancora di più. Dazi un problema per le Falklands, addio al mercato unico un onere per Cayman e Bermuda, l'incertezza delle relazioni tra Anguilla e St.Martin nei Caraibi. E le balene che si scoprono più vulnerabili

    Emanuele Bonini</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/emanuelebonini" target="_blank">emanuelebonini</a> di Emanuele Bonini emanuelebonini
    21 Aprile 2017
    in Politica
    Bandiere dei territori britannici d'oltremare sventolano assieme all'Union Jack del Regno Unito

    Bandiere dei territori britannici d'oltremare sventolano assieme all'Union Jack del Regno Unito

    Bruxelles – La madre patria è lontana, e neppure l’Unione europea è così vicina. Eppure gli effetti della Brexit si sentono eccome sui territori d’oltre mare di sua maestà. A partire dai fondi comunitari, che arrivano anche nelle propaggini più ultra-periferiche del globo. Tutto rischia di essere messo in discussione, così come il diritto di lavoro e soggiorno per tutte le persone che si trovano nei territori d’oltremare Britannici. Ecco, in sintesi, cosa rischia di significare la Brexit per quei territori:

    Libertà di circolazione: i territori d’oltre mare del Regno Unito sono 14. Si tratta di piccole isole e arcipelaghi che si trovano tra oceano Pacifico, Atlantico e Indiano, e che insieme contano circa 250mila persone. Con l’approvazione dell’Overseas Territories Act, nel 2002 il parlamento di Westminster ha riconosciuto piena cittadinanza britannica a tutte le persone che vivono in questi territori (in precedenza solo i residenti di Gibilterra e delle Falklands avevano questo status). Di conseguenza tutti hanno un passaporto britannico, che consente loro di avere stessi diritti di lavoro e soggiorno nell’Ue. Con la Brexit, anche i britannici d’oltremare diventeranno cittadini extra-comunitari al pari dei connazionali in Regno Unito. Il loro ingresso nell’area Ue dovrà quindi essere regolato in accordi successivi.

    Fondi europei: l’Ue garantisce risorse ai territori d’oltre mare dei suoi Stati membri. Per la Francia sono: Nuova Caledonia, Polinesia francese, Wallis et Futuna, Saint-Pierre et Miquelon, Mayotte, per i Paesi Bassi Aruba e Antille olandesi e per il Regno Unito Anguilla, Montserrat, isole Turks e Caicos, isole Pitcairn, isole Falkland, Sant’Elena, Ascencion e Tristan da Cunha. Questi ricevono risorse attraverso il Fondo per lo sviluppo europeo (Fes) e nel periodo 2007-2013 i territori britannici hanno ottenuto dall’Ue 67,2 milioni di euro, e per il ciclo 2014-2020 per gli stessi territori sono allocati 76,8 milioni. Il futuro di questi finanziamenti è incerto, è  legato ai negoziati che Londra avvierà per le future relazioni con l’Ue. In futuro il forum dei Paesi ACP (Africa-Caraibi-Pacifico) potrebbe comunque essere un canale alternativo di cooperazione.

    Ambiente marino più vulnerabile: pinguini, balene, pesci. Ci sono specie animali che l’Unione europea protegge in queste aree del mondo attraverso il programma “Best” per la conservazione dell’ecosistema marino nei territori d’oltremare. La Brexit rischia di mettere a rischio questo programma, e non è chiaro se Londra vorrà sostenere da sola questo schema. Gli animali marini d’oltremare sono esposti ad una possibile maggiore vulnerabilità.

    Isole Cayman: è uno dei territori più famosi, per via della sua natura di paradiso fiscale. Secondo Ernst&Young per il piccolo arcipelago caraibico la Brexit rischia di tradursi nell’impossibilità di fornire servizi e prodotti finanziari nell’Ue.

    Isole Falklands: attualmente il grosso di quello prodotto qui viene esportato all’interno del mercato unico (70%). Potrà continuare a farlo? I britannici del sud-America temono di no. La Brexit rischia un contraccolpo sull’economia con l’imposizione di tariffe sulle importazioni nell’Ue. Inoltre si teme un minor accesso ai finanziamenti allo sviluppo (fondi Fes) e alla ricerca scientifica.

    Isole Turks e Caicos: L’arcipelago dell’Atlantico diventa la Scozia dei Caraibi? La Brexit sembra aver rotto gli equilibri tra Cockurn Town e Londra: il governatorato considera l’ipotesi di indire un referendum sull’indipendenza.

    Montserrat: Fino al 1989 l’isola delle Antille è stata nota per lo studio di registrazione di George Martin, produttore dei Beatles. Lì vennero a incidere anche i Police (Ghost in the Machine e Synchronicity, nel 1981 e 1982), Elton John (Jump Up!) e i Black Sabbath (The Eternal Idol, inciso parzialmente qui tra il 1986 e 1987). Il governatore locale non si è detto particolarmente preoccupato per la Brexit. L’isola dipende più che altro dal Regno Unito che dall’Ue, e il futuro resta a fianco di Londra.

    Anguilla: altro territorio d’oltremare che riceve fondi dall’Ue. Il governo locale non ha nascosto preoccupazione per il futuro di questi fondi, e per una ragione ben precisa: rispetto agli altri territori d’oltremare britannici, Anguilla non riceve fondi dal dipartimento per lo sviluppo internazionale del Regno Unito. Il sostegno comunitario rappresenta il principale contributo allo sviluppo per le cinque isole che costituiscono lo Stato. L’Ue ha erogato 11,7 milioni tra il 2007 e il 2013, e ha destinati 14 milioni per il settennio 2014-2020. Anguilla è anche preoccupata per il futuro delle relazioni con i vicini, in particolare l’isola di Saint Martin/Saint Martijn, metà olandese e per metà francese, e parte dei territori d’oltremare dell’Ue. Si tratta di un’isola comunitaria, e con l’Ue Anguilla dovrà continuare ad avere rapporti politici e commerciali.

    Isole Pitcairns: sono le isole più remote del pianeta, a metà strada tra le cose dell’America del sud e la Nuova Zelanda. Sono famose per essere diventate la casa degli ammutinati del Bounty. Ci vivono all’incirca 60 persone, anche loro con passaporto britannico. Il grosso degli aiuti arriva da Londra, ed è principalmente a loro che si affidano. Dall’Ue hanno ricevuto 2,4 milioni tra il 2007 e il 2013, e altrettanti sono in bilancio fino al 2020.

    Bermuda: non riceve risorse via fondi Fes. Ciò nonostante l’uscita di Londra e la perdita dello status di appendice di uno Stato membro dell’Ue avrà forti ripercussioni sull’export, soggetto molto probabilmente a dazi. Ernst&Young ricorda che solo nel 2014 Bermuda ha esportato nell’Ue servizi, soprattutto assicurativi, per un valore complessivo di 21,7 miliardi di euro. Bermuda è attiva nell’Ue grazie ai legami con i Lloyd’s di Londra. L’isola è preoccupata per la libertà di circolazione: gli abitanti viaggiano spesso, e un regime più restrittivo in tema di visti e permessi sarebbe un problema.

    Isole Vergini britanniche: non ricevono soldi dall’Ue, ma sono co-presidenti del forum Ue-Territori d’oltremare. La Brexit implicherà la perdita del ruolo, con conseguente diminuzione di peso politico e di rappresentanza a Bruxelles. Anche qui ci si preoccupa per la libertà di circolazione: gli abitanti viaggiano spesso, e un regime più restrittivo in tema di visti e permessi sarebbe un problema.

    Sant’Elena, Ascencion e Tristan da Cunha: sono in ballo 21,5 milioni di fondi Ue, più il loro futuro post-2020. Come per le isole Pitcairns, anche qui quasi tutto è basato sui rapporti diretti con il Regno Unito.

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