Paolo Guzzanti, più volte parlamentare nazionale, da liberale si presenta alle elezioni europee nelle liste di Forza Italia. Da giornalista si è auto intervistato:
… Faq vuoi dire: le domande più frequenti, quelle che ti senti fare continuamente e senza tregua. Ci sono abituato e le mie (quelle che mi vengono rivolte) sono sempre le stesse: come potete andare d’accordo tu e i tuoi figli? – Prima. E poi: come fai a tornare a Forza Italia dopo la tua uscita clamorosa pubblicando libri come Mignottocrazia (parola registrata nel dizionario dell’Enciclopedia Treccani.
Quella sui figli è sempre la stessa e non ho nulla da dichiarare: con i miei figli grandi ho un rapporto eccellente e rarefatto. Non sono più ragazzini e io sono un vecchio signore, ci vogliamo bene e ci comprendiamo. Punto, fine del discorso.
Quanto a Forza Italia: ci troviamo in due ere geologiche lontanissime. Quella del primo fallimento della rivoluzione liberale inutilmente annunciata d Berlusconi, e quella di questo crepuscolo eterno come un vespro boreale della democrazia italiana incantata, sospesa, devitalizzata come un vecchio dente che nessuno dice di voler estrarre, ma che nessuno vuol rivitalizzare.
Io voglio rivitalizzarlo.
Avendo l’età più volte citata (settantaquattro anni e fra sei anni – e non quattro come ho scritto in un eccesso di fretta – ottanta) penso ad una possibile alleanza generazionale fra noi della prima metà del secolo scorso, con lunga memoria ma anche lunga e robusta pazienza, e chi è giovane o molto più giovane. Noi, non tutti ma io rappresento i migliori, della vecchia guardia non cerchiamo il potere, ma vogliamo soltanto dare il nostro meglio nell’età in cui si può e deve dare del proprio meglio.
Dunque, perché Forza Italia? Lo voglio dire con serenità e con orgoglio e proprio perché ho anche la coscienza pulita, essendo stato l’unico – l’unico – deputato del Pdl ad alzarmi e andarmene per una questione di principio (il consenso all’aggressione di Putin in Georgia); oggi con la stessa coscienza pulita posso dire che sto benissimo qui – hic manebimus optime – e che da qui riparte la battaglia liberale per un partito liberale di massa che faccia la rivoluzione liberale fin qui mancata.
Forza Italia è in crisi? Dal mio punto di vista, meglio. La vedo abbastanza depurata da certe zavorre e credo che Berlusconi in persona abbia nel sangue molta più voglia liberale di tutti gli altri.
Errori? Tantissimi. Ma come diceva Rossella O’Hara in via col vento, domani è un altro giorno. Domani è SEMPRE un altro giorno. Dunque sono in Forza Italia perché credo che non si debba essere in alcun altro posto: non fra i fuggiaschi di scorta del NCD, non fra i leghisti separatisti e dalla vista corta, mai con Grillo che considero un fumoso pericolo per la democrazia, anzi un fumante pericolo. Mai, ovviamente, con Renzi benché la porte più ovina della borghesia che non pensa – quelli che seguono come pecore – si accodi al pifferaio che la porterà dove sapete. E mai con le frange della sinistra parolaia ed estrema, che da decenni e comunque si chiami crea soltanto rovine e non è in grado di costruire altro che chiacchiere.
Forza Italia è in declino? Penso che sia sotto diuretico per una dieta purificante.
E noi liberali – la rete liberale mi sostiene apertamente – abbiamo l’intenzione di sostenere Silvio Berlusconi nel suo nuovo impegno di far ripartire il movimento liberale di massa, attuando anche apertamente la vecchia “linea entrista”, come veniva chiamata la linea dei trozkisti della “Quarta Internazionale” che mandava in bestia i comunisti stalinisti.
Significa che si deve stare nel partito che offre più possibilità di cambiamento, che può essere rivivificato e rianimato da chi ci crede, e io ci credo. Credo in quel che voglio per il mio Paese e penso che qui ci sia il terreno adatto per seminare. Non credo che sia più ora di dare in alcun modo addosso a Berlusconi che ha attraversato un deserto di “umiliazioni” e purificazioni obbligate, e oggi mi sembra una persona molto più efficace: l’ho visto stamattina dall’Annunziata e potete rivedervelo in streaming.
Liberali sfegatati, ma non liberisti sfegatati. Tutt’altro.
Quanto ad essere liberali, io sono un estremista.
Non un “moderato” (ecco un punto di disaccordo terminologico e non solo, con Berlusconi). I moderati tacciono, sopportano borbottando e poi si affidano ad altri. Io invece sono un estremista liberale e voglio, forsennatamente e teatralmente voglio, che il rispetto per il singolo cittadino, per la più piccola minoranza etnica della nazione che è ciascun singolo “io”, venga prima di tutto: questo è il senso della libertà.
Una volta che la libertà viene messa al primo posto nella classifica dei valori, tutta una nuova politica viene dietro.
È quello che è successo con la geometria. Quella che conosciamo nelle scuole è euclidea, l’ha fatta Euclide. Ma bastò che uno stravagante matematico russo, Nikolaj Ivanovi? Loba?evskij dubitasse del postulato sulle rette parallele, perché venisse fuori tutt’altra geometria. E poi altre geometrie ed altre algebre.
Voglio dire: se si parte da un principio fondamentale – la libertà, ad esempio, al posto di una Repubblica inutilmente fondata sul lavoro, che non c’è – si arriva a cambiare la vita delle persone e della cultura, dei comportamenti, della felicità, della creatività.
Essere liberisti significa poco. Oggi nessuno è più liberista “selvaggio”. Oggi ci sono altri personaggi e azioni peggiori del liberismo selvaggio, e sono i personaggi alla Soros che possono far crollare le finanze e la stabilità di uno Stato. Non sono un liberista “selvaggio” ma sono convinto che la ricchezza si fabbrica, prima di consumarla.
Un esempio pratico: sono ferocemente contrario allo stipendio minimo per tutti perché sono contrario alle elargizioni e alle elemosine, ma credo che gli stessi soldi e anche di più possano essere dati come compenso per la partecipazione reale ed effettiva a corsi di qualificazione. Per esempio, nella messa a punto del programma culturale che richiede conoscenze, abilità, lingue, invenzioni.
Credo che a produrre ricchezza debbano essere le aziende e che il compito dello Stato sia quello di fare in modo che le aziende trovino un terreno “friendly”, amichevole, che giochi a loro favore.
E allora, lo Stato deve distruggere, azzerare la propria burocrazia, nella modulistica, nelle scritte delle stazioni, dei ministeri, dei comuni, eliminarla dalle indicazioni stradali, dai palazzi di giustizia, delle caserme dei carabinieri, delle scuole e persino dei bagni pubblici e rinnovare (riqualificare? sostituire?) gran parte del personale inidoneo e inetto.
Lo Stato non deve essere imprenditore, ma amico sia di chi produce ricchezza con il proprio rischio, sia di chi produce ricchezza col lavoro dipendente. L’Italia ha sempre prodotto ricchezza con valore aggiunto, senza disporre di materie prime, ma acquistando e trasformando quelle che compra altrove. Chi frequenta questo blog già conosce il mio chiodo fisso: l’Italia siede su un tesoro e non lo sa (così diceva una celebre maitresse dell’Ottocento riferendosi alle puritane ragazze americane). Il tesoro non è soltanto l’insieme dei beni archeologici ed artistici, Pompei e la Cappella Sistina, le Ville Venete e i Templi Greci in Sicilia. L’Italia, per un antico miracolo della storia e della genetica, ha sempre innovato l’arte e l’invenzione creativa in ogni secolo. Oggi quella vocazione è soffocata, l’Italia annaspa nell’arretratezza scolastica, la cultura è considerata un fastidio e una pomposità da cui tenersi alla larga, e così si perde di vista il tesoro su cui siamo seduti.
Sono stanco ed esausto di parlare delle vestigia del passato: l’Italia ha il suo futuro nel futuro, anche se il passato può fornire e fornirà un carburante smisurato e inesauribile.
Bene: queste cose non può e non deve farle “Lo Stato”, il quale deve soltanto accompagnarle con politiche intelligenti, e rendere possibile e flessibile ciò che invece è rigido e impossibile. Deve rendere possibile gli investimenti, e proteggere mentre li semplifica i contratti, ammazzati dalla giustizia, e dalla burocrazia, e dalla politca farraginosa e criminogena degli appalti.
Le famose start up di cui si riempie la bocca Matteo Renzi, faticano molto ad emergere e cercano rifugio in Europa mentre in Israele fioriscono e si moltiplicano come fiori.
Ecco, per tutti questi motivi ed altri ancora, penso che il terreno più fertile per seminare ed attendere nuovi germogli sia oggi Forza Italia, depurata delle sue vecchie e asfissianti alleanze e di chi ha preferito andarsene inseguendo un ideale governativo effimero e di comodo, che non sembra avere speranze né identità.
Ma non si tratta di ideologia. Si tratta di fare realmente le cose. Quando dico e ripeto che la cultura è una miniera d’oro non penso soltanto ai ristoranti e agli alberghi, e nemmeno a un popolo “di bagnini e camerieri” (…). Penso, studio, so, delle gigantesche attività innovative che oggi possono essere realizzate soltanto con l’aiuto dell’Europa, insieme all’Europa e in Europa. Si tratta di soldi, non di semplici parole. Si tratta di finanziare la libertà e il lavoro, non so se è poco.
Dunque: chi sceglierà liberamente di votarmi (Lazio, Toscana Umbria e Marche), voterà un liberale indipendente, che propone cose concrete, il cui risultato finale è occupazione in percentuali molto alte, una crescita netta della libertà individuale, una autentica laicità non nel senso anti-religioso ma nel senso del rispetto reciproco come fondamento della società.
Credo di aver già tracciato chiaramente le funzioni del privato e del pubblico, secondo il mio progetto: il pubblico deve mantenere pulito, semplice e ben alimentato l’acquario in cui il privato costruisce i suoi ecosistemi, le sue linee di produzione di ricchezza, che devono essere intese ontologicamente come da redistribuire, altro che macchine da denaro (alias, “da utili”).
Ho anche questo sogno realizzabile – ne parliamo spesso con Philippe Daverio che certamente conoscete per averlo visto in televisione, e nelle università – di unificare una nuova Europa unificando la politica della cultura.
Detta così vi suona astratta? In pratica significa mettere insieme tutte le risorse e i beni di Francia, Italia, Spagna, e Inghilterra e forse anzi certamente anche Germania, per creare un unico grande motore di motori che consumi e promuova cultura, produca ricchezza, produca intelligenza e usi l’intelligenza. Non è astratta, è concreta e lo garantisco, perché chi lo sta già facendo me l’ha mostrato, e semmai si lamenta del silenzio assordante che tenta, disperatamente tenta forse da mezzo secolo, di soffocarli in culla.
Noi italiani siamo figli di un dio minore: su cento giovani, i tedeschi ne laureano 25. Su cento giovani italiani noi ne laureiamo 5.
I tedeschi, del resto, quando ricevono 100 euro dall’Europa ne restituiscono al loro Paese 120, mentre noi ne distribuiamo meno di 20.
È il caso di ripetere ancora una volta i miei due motti preferiti, entrambi francesi: “Vaste programme” disse Charles de Gaulle, a uno che proponeva di fucilare tutti gli imbecilli. E “On s’engage et après on voi”, prima si comincia la battaglia e poi si vede come vanno le cose, come spiegò Napoleone a un giornalista che gli chiedeva quale fosse il suo “segreto”.
Il nostro segreto, la mia volontà, la mia promessa, consiste nel mettere le basi per una rivoluzione pacifica, intelligente, produttiva, apportatrice di denaro e di piacere, con il risultato anche di far crescere in maniera netta il tasso di cultura che circonda i miei giovani, e per cultura intendo il senso della libertà reale e della visione di un grande futuro, oltre che di un glorioso passato.
Paolo Guzzanti