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    Home » Editoriali » La rivincita del 3-5-2

    La rivincita del 3-5-2

    Fabrizio Saulini</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/https://twitter.com/fabsaulini" target="_blank">https://twitter.com/fabsaulini</a> di Fabrizio Saulini https://twitter.com/fabsaulini
    22 Giugno 2014
    in Editoriali

    Nell’ultima stagione si è molto discusso del modulo 3-5-2 (e in generale della difesa a 3) e della sua presunta inadeguatezza alle grandi competizioni internazionali. Ad accendere il dibattito sono stati in particolare i risultati deludenti della Juventus in Champions League. Da tre anni dominatrice della Serie A, la squadra di Antonio Conte ha mancato la qualificazione agli ottavi di finale di CL totalizzando appena 7 punti in un girone alla sua portata (con Real Madrid, Galatasaray e Copenaghen) per poi essere eliminata in semifinale di Europa League dal Benfica. Il fallimento è stato generalmente attribuito ad un atteggiamento tattico “conservativo” che sarebbe implicitamente legato al modulo.

    Con il 3-5-2, si dice, la presenza di due soli giocatori esterni consente meno combinazioni sulle ali, concentrando il gioco d’attacco nella zona centrale e congestionando la manovra (non è questo per la verità il caso della Juventus, dove Vidal, Marchisio e Pogba vanno spesso in appoggio dei due esterni). Ma soprattutto, ogni modulo con la difesa a 3 sarebbe intrinsecamente difensivistico, perché la presenza di 3 difensori nella zona centrale porta naturalmente il giocatore nel mezzo ad arretrare nella tradizionale posizione del libero. In questo modo la squadra si allunga e diventa più difficile pressare l’avversario nella sua metà campo. Nel calcio internazionale, si dice, è un atteggiamento che non paga. Questa tesi sembra confortata dai risultati dell’ultima Champions League, dove le prime otto classificate (Real Madrid, Atletico Madrid, Bayern Monaco, Chelsea, Borussia Dortmund, Manchester United, Barcellona, Paris Saint-Germain) hanno adottato moduli con la difesa a 4, nelle varianti 4-4-2, 4-3-3 o 4-2-3-1. Siviglia e Benfica, le due finaliste di Europa League, giocano entrambe con il 4-4-2.

    Le prime fasi del Mondiale 2014 segnano una parziale inversione di tendenza: le squadre schierate con la difesa a 3 come il Messico, il Cile e la Costa Rica, il cui 5-4-1 si basa su principi difensivi analoghi (anche se con una maggiore enfasi sul fuorigioco: una rarità tra le squadre che non giocano a 4), hanno messo in crisi avversari più blasonati schierati a 4: Brasile (4-2-3-1), Spagna (4-3-3), Uruguay (4-4-2) e Italia (4-1-4-1). Il caso più eclatante, però, è quello dell’Olanda. Nella partita d’esordio contro la Spagna il ct Louis Van Gaal, grande teorico del calcio offensivo e architetto del tiki-taka del Barcellona (di cui è stato allenatore dal 1997 al 2000), ha accantonato il 4-3-3 “statutario” della nazionale arancione fin dai tempi di Cruijff e del totaalvoetbal per un pragmatico 3-5-2, rinunciando alle ali e impostando la gara sui lanci lunghi e il contropiede. Risultato: 5-1, con i campioni del mondo della Spagna ripetutamente presi d’infilata e incapaci di imporre il loro palleggio. Gianni Brera si sarebbe fregato le mani.

    La conversione improvvisa di Van Gaal alla scuola del catenaccio ha rilanciato un dibattito ideologico vecchio come il calcio: attacco contro difesa, squadra “femmina” contro squadra “maschia”, bel gioco contro ostruzionismo, Zidane contro Materazzi. Da una parte Sacchi, Cruijff e Guardiola, dall’altra Trapattoni, Capello e Mourinho. È uno scontro che si ripete ciclicamente, con una o l’altra delle fazioni a rivendicare il primato a seconda dei risultati contingenti.

    In realtà, l’equazione difesa a 3 = catenaccio e contropiede è uno stereotipo, come spiegherebbe per primo Van Gaal. Uno dei sistemi offensivi più ammirati degli ultimi anni, infatti, è il 3-3-3-1 che l’attuale ct dell’Olanda perfezionò all’Ajax negli anni 90, vincendo la Coppa dei Campioni nel 1995 e lanciando campioni come Bergkamp, Davids, Seedorf, Kluivert, i gemelli De Boer, Litmanen e Van der Sar. Basato su uno studio meticoloso delle spaziature in campo e sul dominio del possesso palla, il modulo viene ancora studiato in tutte le scuole per allenatori e ha ispirato l’utopia del Cittadella di Ezio Glerean, il grande sognatore del calcio italiano (nel campionato di Serie B 2001-02, dopo un Cittadella-Salernitana 4-4, Zdenek Zeman commentò: “Ho trovato uno che attacca più di me”). Oltre che, nella finzione cinematografica, quella di Antonio Pisapia, il malinconico protagonista de L’uomo in più di Paolo Sorrentino: nell’ultima scena del film i giocatori sono disposti proprio secondo il 3-3-3-1 di Van Gaal/Glerean.

    Altri esempi di interpretazione “progressiva” della difesa a 3 sono il Parma di Nevio Scala (1989-96), l’Udinese (1995-98) e il Milan (1998-99) di Alberto Zaccheroni e ancora il Parma (1998-99) di Alberto Malesani. E sì, la Juventus di Conte, squadra ricca di soluzioni offensive che nella stagione appena conclusa ha basato la sua superiorità sulla prolificità dell’attacco.
    Dopo la sconfitta dell’Italia con la Costa Rica, più di un osservatore ha auspicato un ritorno alla difesa a 3 della Juventus, considerata una delle poche certezze a cui può aggrapparsi la nazionale di Prandelli in questo momento. Ci si è dimenticati rapidamente, a quanto pare, dei peana al 4-1-4-1 e al tiki-taka all’italiana post Inghilterra-Italia.

    Il Mondiale non ha ancora emesso i suoi verdetti, e quelli che darà non saranno definitivi: il calcio non è una scienza esatta (anzi, tra gli sport di squadra è quello che ci si avvicina di meno). È molto probabile che alla fine a vincere sia una squadra schierata con la difesa a 4. Ma non ci sono elementi concreti per dire che il 3-5-2 e le sue varianti siano di per sé sistemi difensivistici. Men che mai superati o perdenti.

    Tags: 3-5-2Brasilecalciodifesaitaliamondiali

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