Roma – Sull’assegnazione di lavori e concessioni pubbliche l’Italia avrà “finalmente un sistema all’altezza di un grande Paese europeo”. Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, ha usato queste parole nel presentare il nuovo codice degli appalti varato oggi dall’esecutivo in recepimento di tre direttive europee.
Delrio ha parlato di una “scelta di grandissima semplificazione”, che “garantirà tempi certi per l’esecuzione delle opere”, dal momento che si è puntato alla “centralità del progetto”. Le nuove regole prevedono infatti che non si possa andare a gara se non dopo aver fatto “tutte le valutazioni preliminari necessarie”. Un elemento che dovrebbe ridurre drasticamente la necessità di varianti in corso d’opera, garantendo “anche la certezza dei costi”.
Quello delle varianti in itinere è infatti un sistema molto utilizzato dalle imprese per recuperare margini di profitto dopo averli ridotti al minimo, in sede di gara, per aggiudicarsi un lavoro con il sistema del massimo ribasso. Il ricorso a tale pratica non sarà più necessario, almeno nelle intenzioni del governo, perché il massimo ribasso “rimarrà solo per alcuni casi molto marginali”, mentre di norma si farà riferimento al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Le nuove regole pongono inoltre fine a “un’anomalia tutta italiana”, sostiene Delrio, perché con il superamento della Legge obiettivo – quella per la realizzazione delle grandi opere, che però “si è rivelata del tutto inefficace” – si dice “basta alle procedure straordinarie” e “la gestione ordinaria diventa la normalità”.
Il codice regolamenta anche il sistema delle concessioni pubbliche. Anche qui, ha sottolineato il ministro, si fa “una grande rivoluzione” prevedendo che “il rischio operativo” sia “in carico al privato”. Vuol dire, sintetizza il titolare delle Infrastrutture, che non è previsto il rientro obbligatorio dell’investimento, e dunque “lo Stato non è obbligato al riequilibrio” rimborsando la perdita.
Una rassicurazione, infine, Delrio la dà su un tema molto caro agli italiani: la gestione pubblica dell’acqua. Nell’affidare la delega all’esecutivo, il parlamento aveva inserito un esplicito riferimento – fortemente voluto dal presidente della commissione Ambiente di Montecitorio, Ermete Realacci – al rispetto della volontà popolare espressa nei referendum del 2011, che miravano a sottrarre l’acqua agli appetiti di profitto dei privati. “Ci sono alcuni settori normati a parte”, ha spiegato Delrio. Dunque, quanto al rispetto dell’esito referendario, “il codice lo prevede” ha concluso.