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    Home » Non categorizzato » Il fenomeno Trump visto dall’Europa

    Il fenomeno Trump visto dall’Europa

    [di Jean Bricmont] Un’eventuale vittoria di Trump potrebbe aiutare l’Europa a superare la propria subalternità agli Stati Uniti?

    Redazione</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/eunewsit" target="_blank">eunewsit</a> di Redazione eunewsit
    28 Ottobre 2016
    in Non categorizzato

    di Jean Bricmont 

    La prima cosa da dire a proposito delle elezioni presidenziali americane è che sono estremamente antidemocratiche. E non mi sto nemmeno riferendo alle manipolazioni che possono aver permesso alla Clinton di battere Sanders o al fatto che i media mainstream impiegano il loro tempo a deridere un candidato e proteggere l’altro. L’aspetto più fondamentalmente antidemocratico delle elezioni americane è che una piccola porzione dell’umanità può eleggere una persona con una enorme influenza sul resto del mondo, qualcuno che prende decisioni che possono portarci a una guerra generalizzata, o quantomeno aggravare le tensioni con Russia, Iran e Cina, per non menzionare la Siria, tutte cose contrarie agli interessi europei.

    Da questo punto di vista, Trump ha un vantaggio sulla Clinton. Intendo dire che Trump dichiara di voler essere presidente degli Stati Uniti, non del mondo intero, mentre lei insiste nel dire che gli USA debbano esercitare la loro leadership sul mondo.

    Trump viene dipinto come la più recente incarnazione del diavolo (dopo Saddam, Gheddafi, Assad e i Brexiters): razzista, sessista, islamofobo, amico di dittatori, ecc. In breve l’incarnazione di tutto quello che suscita indignazione nei paladini dei diritti umani.

    Suggerirei di considerare Trump sotto un’altra luce. Trump è prima di tutto un capitalista, quasi una caricatura del tipo di uomo che il capitalismo produce, incoraggia e celebra. Guadagna un sacco di soldi e ne è fiero. Per lui, tutto si riduce al rapporto costi-benefici. Difendere gli Stati baltici? Quanto costa, cosa ci guadagniamo? Difendere il Giappone? Quanto costa, cosa ci guadagniamo?

    Alla sua maniera, è perfino patriottico. Ovviamente, non abbastanza da pagare le tasse o da pagare i suoi fornitori se può evitarlo. Ma indubbiamente è seriamente preoccupato dalla deindustrializzazione degli Stati Uniti (una preoccupazione razionale per un capitalista). Si illude di poter risolvere il problema in maniera capitalistica: stringendo accordi coi cinesi o con le aziende che delocalizzano all’estero.

    Come capitalista, Trump ha avuto successo. Ovviamente, non è partito da zero, ma ha notevolmente aumentato la fortuna che ha ereditato. È riuscito a farlo attraverso qualunque genere di metodo moralmente e legalmente discutibile. E con questo? Conoscete molti altri capitalisti che si sono arricchiti in altra maniera?

    È grottesca la reazione orripilata della sinistra “rispettabile” (difensori dei diritti umani, femministi, anti-razzisti) alla vista di questo fenomeno. Dopo tutto, la “sinistra rispettabile” è essa stessa totalmente a favore del capitalismo, ma usa un suo proprio vocabolario per definire il sistema: mercato libero, società aperta, liberalismo. Ma accetta il capitalismo come fosse essenzialmente il destino ultimo della storia. Dirige le proprie critiche soltanto contro l’“esclusione”, che si tratti di forme di discriminazione o del rifiuto degli immigrati, o della concorrenza sleale. Ma la concorrenza perfetta sarebbe l’ideale del capitalista.

    Quando la sinistra “rispettabile” viene messa di fronte a un prodotto così limpido del sistema che lei stessa difende (alla sua maniera), ossia una persona molto calcolatrice, volgare, che dice quello che gli passa per la mente senza preoccuparsi di quello che è politicamente corretto, tutte cose piuttosto tipiche di un capitalista di successo, soddisfatto di se stesso, allora sentiamo grida di sgomento.

    Per la sinistra dalle belle maniere, i discorsi pro-capitalistici devono essere incartati in parole dolci, come libertà, diritti umani, pari opportunità, mentre invece il sistema in sé produce qualcosa di molto diverso. Trump, per esempio.

    Il punto in cui il conflitto tra Trump e la sinistra pro-Clinton, inclusi quelli che “scegliamo il male minore”, diventa davvero interessante è la scelta tra guerra e pace. Anche qui, Trump si mette a fare i calcoli: quasi sei mila miliardi di dollari spesi in guerre in Medio Oriente. E cosa ci abbiamo guadagnato? In pratica nulla! Le ditte cinesi, tra le altre, sfruttano il petrolio iracheno senza aver speso una lira per queste guerre. Il caos in Libia o in Siria non genera profitti per nessuno, in particolare non alle compagnie petrolifere (che si arricchiscono nei periodi di stabilità), mentre tutti i capitalisti dotati di senno hanno voglia di fare affari con l’Iran e la Russia.

    Peraltro, perfino la sinistra pacifista tende a sbagliarsi, attribuendo queste guerre a un calcolo economico razionale. In realtà, queste guerre sono causate da un misto di ideologia dei diritti umani, di determinazione nel distruggere i nemici di Israele e di ambizione americana a confermare la propria egemonia planetaria.

    Tuttavia, questa ambizione non è razionale in termini economici. Costa un sacco di soldi. Se ignoriamo i costi, può sembrare razionale. Ma Trump, un capitalista genuino, non li ignora, e conclude che il gioco non vale la candela. E su questo ha assolutamente ragione. In base allo stesso principio, non vede alcuna buona ragione per lanciare una jihad contro la Russia, che è quello che stanno facendo gli stessi ideologi che sostengono le guerre in Medio Oriente. La Russia è uno Stato capitalista, e uno come Trump non ha problemi nel fare affari con i russi.

    La cosa affascinante del fenomeno Trump è che quelli che lo denunciano come volgare, disonesto, razzista e così via devono comunque ammettere che la sua base di consenso viene dalle persone comuni, mentre tutti i media gli sono contrari, così come Wall Street, il Pentagono e la sinistra, da Sanders a Chomsky.

    Ma più le denunce sono violente, più appare evidente il fallimento totale della “terza via” o della “nuova sinistra” (i vari Clinton, Blair, Zapatero, Schröder, Jospin, Hollande, Renzi), che ha totalmente perso il proprio sostegno popolare, e ora si può solo affidare al sostegno delle élite.

    Questa “nuova sinistra” ha perso perché non è capace d risolvere i problemi economici a causa della sua cieca obbedienza al liberismo economico e perché la sua politica internazionale di interventismo illimitato ha provocato soltanto un gigantesco caos, sia in Medio Oriente sia in Europa, provocando la crisi dei rifugiati. Le tensioni crescenti con la Russia, l’insistenza a voler rovesciare il governo siriano, costi quel che costi, possono solo peggiorare le cose. Infine, la “terza via” non trova di meglio da fare che insultare la gente bollandola come una massa di «persone riprovevoli», come li ha definiti Hillary Clinton, infilandosi così in una buca sempre più profonda.

    Per quanto “riprovevole” possa essere, il fenomeno Trump è una forma contemporanea di “rivolta delle masse” che si trovano a fronteggiare il fallimento delle élite occidentali sostenute dalla “terza via” di sinistra.

    Per quel che riguarda noi europei, il problema non è se sostenere Trump o la Clinton, tanto non c’è assolutamente nulla che possiamo fare a riguardo. Abbiamo invece bisogno di svegliarci dalla nostra subalternità agli Stati Uniti, cosa che richiederà un lungo sforzo di liberazione culturale, psicologica e politica.

    Da questo punto di vista, un’eventuale elezione di Trump potrebbe avere un effetto positivo, quantomeno nel breve periodo, grazie allo shock che provocherebbe tra i nostri media e i nostri politici che idolatrano l’America. Ma spetta a noi riprenderci la nostra indipendenza. È una cosa che non arriva mai dall’esterno.

    Pubblicato su CounterPunch il 7 ottobre 2016. Traduzione di Voci dall’Estero rivista da Thomas Fazi. 

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