Bruxelles – I giudici di pace italiani sono arrivati a bussare anche alle porte di Bruxelles per sostenere la loro vertenza. E le hanno trovate aperte.
La lista dei problemi che Maria Flora Di Giovanni, la battagliera presidente della loro maggior associazione di categoria (l’Unagipa, che rappresenta 1.000 dei 1.260 giudici di pace) e il giudice Ugo Ferruta è lunga e dolorosa e la si può forse sintetizzare in una parola che non ti aspetti in questo campo: sfruttamento. “La legge delega che interviene sul nostro settore è inaccettabile – spiega Di Giovanni -, siamo trattati come cottimisti, alimenta il precariato, diminuisce in maniera drastica le retribuzioni, non ci tutela come lavoratori se ci ammaliamo o se facciamo dei figli. Il nostro obiettivo è farla decadere, come avverrà che entro il prossimo maggio non sarà esercitata la delega da parte del ministero della Giustizia”.
I giudici di pace sono in nerbo della giustizia civile in Italia, spiega Ferruta: “da noi passano il 50 per cento delle cause civili, il 60 se consideriamo anche i decreti ingiuntivi. Poi abbiamo la competenza esclusiva sulle espulsioni degli immigrati. Senza di noi si blocca tutto il sistema”. E per dimostralo, oltre che per dare vigore alla protesta, dal 16 febbraio sono in sciopero.
Per questo sono stati al Parlamento europeo, alla Commissione per le petizioni, dove giacciono numerose raccolte di firme che denunciano una violazione delle norme comunitarie da parte della legge italiana “sul rapporto di lavoro subordinato e sul rapporto di lavoro”, spiega Di Giovanni, che sottolinea anche il mancato rispetto “della parità retributiva per uguali funzioni”. Sì, perché i giudici di pace italiani, ricorda Ferruta, “sono pagati 56 euro lordi a sentenza, e spesso si tratta di faldoni di centinaia di pagine”. Fino alla nuova legge c’era un limite massimo nel guadagno che poteva realizzare un giudice di pace: 72.000 euro lordi l’anno. “Ora si vuole portare il limite a 1.200 euro lordi al mese”, lamenta Ferruta.
In Parlamento i due magistrati hanno trovato ascolto, “specialmente da parte dei deputati stranieri”, dicono. “In particolare abbiamo ricevuto un’ottima accoglienza da Heinz Becker (popolare austriaco, ndr) – dice Di Giovanni – che ha sollecitato il rappresentante della Commissione europea che era presente all’audizione ad intervenire rapidamente per il rispetto delle regole comunitarie”. Da parte degli italiani l’accoglienza è stata diversificata. Andrea Cozzolino (Pd) “si è schierato a favore del governo, ha sostenuto la tesi che la strada migliore sarebbe quella di lavorare ad una soluzione concertata, in sostanza ha teso a prendere tempo”, dice Ferruta. Più ascolto, racconta Di Giovanni “l’abbiamo trovato da parte di Eleonora Evi (M5s) e da Salvatore Pogliese (Fi) che sono intervenuti sostenendo le nostre ragioni”.
La presidente della commissione petizioni, Cecilia Wikstrom (liberale svedese) “si è impegnata a scrivere al governo italiano – racconta soddisfatta Di Giovanni -, perché si impegni a stabilizzare i precari. E si è detta ‘onorata come donna’ di poter intervenire in favore di lavoratrici, come noi, che non hanno il diritto al congedo di maternità. Anche i malati, con l’attuale normativa, dopo sei mesi di assenze, anche non continuative, decadono, e questo è intollerabile. Abbiamo fatto un concorso pubblico per avere il nostro lavoro, non vediamo perché dovremmo accettare un trattamento da lavoratori di ‘serie B’, quando, tra l’altro, svolgiamo una funzione indispensabile per la giustizia italiana”.