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Bando europeo all’utilizzo di glifosate: ne vale veramente la pena?

Bando europeo all’utilizzo di glifosate: ne vale veramente la pena?

Di Donatello Sandroni / A Bruxelles è entrato nel vivo il dibattito sul rinnovo dell’autorizzazione all’utilizzo dell’erbicida. Un’indagine condotta da Aretè mostra i rischi sulla sostenibilità economica e sociale di un eventuale bando, con la filiera agricola che subirebbe forti contrazioni di produzione e costi aggiuntivi

Frumento, mais, soia e riso: se l’Europa vieterà l’utilizzo di glifosate, il 37 per cento del valore aggiunto dell’agricoltura italiana rischia una severa contrazione. Aretè, società di analisi per il settore agroalimentare, ha pubblicato un’indagine di mercato per cercare di scattare una fotografia della filiera italiana qualora a Bruxelles si decidesse di revocare l’autorizzazione all’utilizzo dell’erbicida. Un prodotto che, comunque, le autorità regolatorie di quattro grandi paesi europei (Francia, Paesi Bassi, Ungheria e Svezia) ritengono sicuro per l’uomo.

In termini di volumi di produzione, le riduzioni più significative sono stimate a carico della soia, con un -18,2%, seguita dal riso (-17,7%) e dal frumento duro, che subirebbe una contrazione del -12,2%. La discussione intavolata a Bruxelles insiste sui presunti vantaggi ambientali derivanti dal bando di glifosate sul territorio europeo, ma tralascia spesso l’effetto a cascata che una decisione del genere potrebbe innescare: costi maggiori a fronte di una minore produzione, con forti ricadute economiche e sociali.

Non solo: Dario Frisio, professore ordinario presso il dipartimento di Scienze e Politiche ambientali dell’Università di Milano, prevede che possa emergere un secondo problema: “l’eventuale mancato rinnovo dell’autorizzazione vieterebbe solo l’impiego di glifosate nell’UE, o, fissando dei limiti pari a zero dei residui nei prodotti, si estenderebbe indirettamente anche a quanto importato dall’estero?”

Perché, nel secondo caso, Frisio suggerisce che “nell’Unione Europea diverrebbe quasi nulla la disponibilità di soia e ciò manderebbe in crisi tutta la filiera agro-zootecnica che oggi si basa in gran parte proprio sulle importazioni di questa leguminosa”. E focalizzandoci proprio su mais e soia, lo stop al glifosate aumenterebbe vertiginosamente “il grado di dipendenza estera del sistema italiano, diminuendo allo stesso tempo il potenziale produttivo nel complesso dell’Ue”. Lo scenario descritto da Frisio e confermato dall’indagine di Aretè rischia di aggravarsi ulteriormente, a causa di limitazioni nelle disponibilità dei prodotti dovute per esempio a conflitti bellici e a eventi climatici avversi, in particolare fenomeni di siccità.

Pur volendo essere ottimisti e dimenticando per un attimo il conflitto in Ucraina e la forte siccità della scorsa estate, lo studio condotto da Aretè descrive un calo di produzione di frumento tenero che oscilla tra 290.926 tonnellate (-10,1%) a 147.075 tonnellate (-5,1%) e perdite di resa per il frumento duro tra le 400.208 (-9,1%) e le 664.585 tonnellate (-15,1%). Non andrebbe meglio né al mais, con la produzione nazionale https://ebook.franchise.7-eleven.com/ che potrebbe ridursi all’interno di una forbice che va da un minimo di 175,222 e un massimo di 1.035.082 tonnellate, né alla soia, la cui produzione potrebbe contrarsi di un range da 150.107 (-13,7%) a 248.699 tonnellate (-22,7%). Per quanto riguarda il riso, l’eventuale bando di glifosate rischia di produrre gravi conseguenze ambientali, poiché aumenterebbe il consumo di acqua, arrecando contemporaneamente gravi cali produttivi stimati tra -133.866 (-8,8%) e -407.705 tonnellate (-26,7%).

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