Bruxelles – L’Italia doveva riconoscere il legame genitoriale tra il padre biologico e la figlia nata nel 2019 da una gravidanza surrogata ottenuta dal seme del padre stesso e l’ovulo offerto da una donna in Ucraina. Lo ha stabilito oggi la Corte europea dei Diritti dell’Uomo a tutela dei diritti della bambina che, in seguito al non riconoscimento deciso dalla autorità italiane, si trova ora ad essere apolide. Per questo l’Italia è stata condannata a pagare un risarcimento di 15mila euro, più le spese legali.
La Corte ha ribadito che, secondo la sua giurisprudenza, l’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali richiede che la legge nazionale deve prevedere la possibilità di riconoscere il rapporto legale tra un bambino nato attraverso un accordo di gestazione per altri all’estero e il padre intenzionale, quando quest’ultimo fosse anche il padre biologico.
Nella sentenza (domanda n. 47196/21) la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito, a maggioranza, che c’è stata:
“una violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione riguardo all’instaurazione di un rapporto genitore-figlio legale tra la richiedente e suo padre biologico”, e nessuna violazione dell’articolo 8 riguardo all’instaurazione di un rapporto genitore-figlio legale tra la richiedente e sua madre intenzionale (cioè la moglie del padre).
Rapporto genitore-figlio legale tra la richiedente e suo padre biologico
La Corte ha notato che nel caso i tribunali nazionali non sono stati in grado di prendere una decisione rapida per proteggere l’interesse della bambina nell’instaurare un rapporto legale con suo padre biologico.
La richiedente, ora di quattro anni, è stata mantenuta dal momento della nascita in uno stato di prolungata incertezza riguardo alla sua identità personale e, poiché non aveva una filiazione legalmente riconosciuta, era considerata una persona apolide in Italia. Pertanto, la Corte ha stabilito che, nonostante il margine di apprezzamento concesso allo Stato, le autorità italiane non avevano adempiuto al loro obbligo positivo di garantire il diritto della richiedente al rispetto della sua vita privata in base alla Convenzione.
Rapporto genitore-figlio legale tra la richiedente e sua madre intenzionale
La Corte ha stabilito che, sebbene la legge italiana non consentisse di registrare i dettagli del certificato di nascita relativi alla madre intenzionale, le conferiva comunque la possibilità di riconoscere legalmente il bambino mediante l’adozione. Rifiutando di inserire i dettagli del certificato di nascita ucraino della richiedente nel registro civile italiano pertinente per quanto riguarda la designazione di E.A.M. come sua madre, lo Stato convenuto non aveva superato il proprio margine di apprezzamento e quindi non c’era stata alcuna violazione dell’articolo 8 della Convenzione a tale riguardo.
La storia
Il padre biologico, L.B., e la madre intenzionale, E.A.M., agiscono per conto di C (L’iniziale del nome della bimba) una persona apolide nata nel 2019. Nel 2018 L.B. ed E.A.M. hanno stipulato un contratto di gestazione per altri in Ucraina. Un embrione generato dall’uovo di una donatrice anonima e dallo sperma di L.B. è stato impiantato nell’utero di una madre surrogata. C è nata nell’agosto 2019 ed è stato stilato un certificato di nascita in Ucraina.
Il 16 settembre 2019 L.B. ed E.A.M. hanno chiesto all’ufficiale di stato civile di registrare i dettagli del
certificato di nascita ucraino nel registro pertinente. L’ufficio di stato civile ha respinto la loro richiesta con il
motivo che tale registrazione era “contraria all’ordine pubblico”.
Il 14 gennaio 2020 L.B. ed E.A.M. hanno presentato un’istanza presso il Tribunale chiedendo che tutti i dettagli del certificato di nascita fossero inseriti o, in alternativa, solo il nome del padre biologico come genitore. L’ufficio del procuratore ha chiesto al tribunale di accogliere la richiesta alternativa.
Il 16 marzo 2020 il tribunale ha respinto la richiesta con il motivo che la considerazione adeguata degli interessi
del bambino non poteva comportare il disprezzo del principio che gli accordi di maternità surrogata fossero
incompatibili con l’ordine pubblico.
L.B. ed E.A.M. hanno presentato un’appello contro tale decisione e hanno richiesto, mediante un’istanza urgente
all’interno delle procedure di appello, che i dettagli del certificato di nascita fossero registrati in parte in modo da
indicare L.B. come padre. L’ufficio del procuratore ha chiesto alla Corte d’appello di ammettere l’istanza.
La Corte d’appello ha respinto la loro richiesta, sottolineando che la richiesta di registrazione parziale introdotto nell’istanza urgente era inammissibile con il motivo che l’istanza nei procedimenti principali riguardava esclusivamente la trascrizione completa del certificato di nascita di C.
L’8 giugno 2022 L.B. ha chiesto all’ufficio di stato civile del comune dove aveva trasferito il suo domicilio di registrare parzialmente i dettagli di nascita di sua figlia. L’ufficio di stato civile ha respinto la sua richiesta con il motivo che il divieto di maternità surrogata non poteva essere eluso.
Fondandosi sull’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), la ricorrente (cioè la bambina, rappresentata dal padre) si è lamentata presso la Corte il 21 settembre 2021 di non essere in grado di ottenere il riconoscimento in Italia del legame genitore-figlio legalmente stabilito in seguito a un accordo di maternità surrogata.
La Corte ha stabilito che l’Italia deve pagare alla ricorrente 15.000 euro a titolo di risarcimento per il danno non patrimoniale e 9.536 euro a titolo di spese e costi.