Bruxelles – L’esperimento Albania del governo Meloni continua a fare buchi nell’acqua. Il Tribunale di Roma ha comunicato che il procedimento di trasferimento di altre sette persone migranti è sospeso e ha passato la palla alla Corte di giustizia dell’Ue (Cgue).
Nemmeno un mese fa, il governo Meloni aveva ricevuto il primo stop da parte del Tribunale di Roma, con la sospensione del trasferimento in Albania di dodici persone migranti. Oggi (11 novembre) la decisione del tribunale è stata la medesima: non sussiste la convalida dei fermi entro le 48 ore previste dalla legge e, non potendo restare nel centro di rimpatrio di Gjader, i migranti verranno riportati in Italia nelle prossime ore.
I sette naufraghi erano stati trasportati sulla nave Libra in Albania. Originariamente erano otto, di cui uno mandato indietro in Italia per le condizioni “vulnerabili” in cui si trovava. Gli altri sette invece sono stati costretti a subire un viaggio di andata seguito da un ritorno per direttissima, vista la (presunta) incompatibilità del decreto legge italiano con le norme comunitarie.
Riguardo a questo, nella nota della Presidente di sezione Luciana Sangiovanni si legge: “Il rinvio pregiudiziale è stato scelto come strumento più idoneo per chiarire vari profili di dubbia compatibilità con la disciplina sovranazionale”. Infatti, permette di chiedere alla Corte di giustizia dell’Ue di risolvere il problema dando la propria interpretazione. E la posizione della Cgue non lascia scampo, visto che i tribunali nazionali devono conformarvisi.
Il punto cruciale è la definizione di “paese sicuro”, su cui la giurisprudenza romana ha chiesto all’Ue dei chiarimenti. Il riferimento legale europeo è una sentenza della Cgue del 4 ottobre 2024, che parla di “paesi sicuri” come quegli Stati che lo sono in toto e per ogni loro persona e, come conseguenza, sono adeguati ad accogliere dei rimpatri.
Sangiovanni sottolinea la divergenza di interpretazione del diritto Ue tra il decreto legge del governo Meloni e la giurisprudenza italiana. Essendo il diritto Ue prevalente, dice Sangiovanni: “Il giudice ha il dovere di verificare sempre e in concreto la (sua, n.d.r.) corretta applicazione”. In altre parole, se il decreto legge è contrario alle norme comunitarie, non è applicabile e per questo, ancora una volta, l’Italia si trova a dover chiedere conferma all’Ue su cosa fare.
Il fatto è che, alla Commissione europea, piace molto “il modello Albania”. La creazione di “hotspot esterni” come metodi alternativi per contrastare la migrazione illegale non è più un’idea di pochi, ma si è affermata nel discorso politico europeo. Addirittura von der Leyen si era pronunciata con una grande apertura: “Con l’avvio delle operazioni del protocollo Italia-Albania, potremo anche trarre insegnamenti da questa esperienza pratica“.
Il problema è che l’esperienza pratica non funziona e cozza in modo evidente con il diritto dell’Ue riguardo alla sicurezza dei rimpatri. Nelle conclusioni del Consiglio europeo di ottobre, i leader Ue si erano avvantaggiati con il riconoscimento ai governi nazionali della possibilità di agire in modo autonomo, apparentemente per supportare l’Unione nel gestire le richieste dei richiedenti asilo che non hanno i requisiti necessari. Questo ha fatto sicuramente sorridere l’esecutivo di Meloni, che si era assicurato maggiore spazio di manovra.
Anche nell’Europarlamento le acque si muovono in modo turbolento. Non va sottovalutata l’apertura a estrema destra del Partito popolare europeo (Ppe). Durante le votazioni del bilancio 2025, il Ppe aveva stretto la mano alle mozioni dei partiti di estrema destra riguardo al contrasto della migrazione illegale. Caso vuole che, al Ppe, una delle proposte tanto piaciute riguardava lo sviluppo di hub di rimpatrio al di fuori dell’Unione, su proposta del gruppo di estrema destra Patrioti per l’Europa.
Se anche il gruppo più grande dell’Eurocamera strizza l’occhio a proposte che sembrano essere al limite del legale, è chiaro che la politica europea stia virando sempre più a destra e, nuovamente, questo può solo che rinforzare il governo italiano.
Il Vicepremier italiano Matteo Salvini, come di consueto, sbotta contro la sentenza scrivendo su X:
Un’altra sentenza politica non contro il governo, ma contro gli italiani e la loro sicurezza.
Governo e Parlamento hanno il diritto di reagire per proteggere i cittadini, e lo faranno. Sempre che qualche altro magistrato, nel frattempo, non mi condanni a sei anni di galera per aver difeso i confini…
Ma la sentenza della Corte più che politica, sembra prudente. Soprattutto su un decreto che già in due occasioni (e anche nelle seguenti probabilmente) non è stato dimostrato applicabile ai casi concreti in cui l’Italia vorrebbe spostare le persone migranti senza sussistenza alla base della legge.