Bruxelles – Alla conta dei punti, sulla legge Ue sulla deforestazione l’ha vinta il Partito popolare. Che ha sì ritirato 6 dei 15 emendamenti proposti per annacquare il regolamento, ma ha visto approvati tutti gli altri – con l’eccezione di uno solo, il meno rilevante – con l’appoggio dei gruppi di estrema destra. Una prova di forza nei confronti del resto della ‘maggioranza europeista’, ma che potrebbe ritorcersi contro i popolari. Perché, già ai ferri corti con i socialisti sul via libera al collegio dei Commissari Ue, il voto di oggi rischia di far saltare tutto.
La proposta dell’esecutivo Ue di rinviare di un anno l’applicazione del regolamento sulla deforestazione importata è stata approvata dall’emiciclo di Bruxelles con 371 voti favorevoli, 240 contrari e 30 astenuti. Sul voto finale, si sono opposti socialisti, verdi e sinistra, con la stessa compattezza con cui i popolari e l’estrema destra hanno invece sostenuto il testo. Mentre i liberali si sono spaccati. La votazione si è svolta nonostante evidenti problemi tecnici in Aula, con diversi eurodeputati che hanno richiamato l’attenzione sul mancato funzionamento dei propri dispositivi di voto elettronico, in particolare sugli emendamenti più delicati. I liberali di Renew e la Sinistra europea hanno inoltrato una richiesta formale per ripetere il voto.
Il Ppe, che aveva presentato 15 controversi emendamenti al nuovo testo della Commissione, ha annunciato prima del voto di ritirarne alcuni dei più significativi: la proposta di un rinvio di due anni e diverse esenzioni per i commercianti sugli oneri di controllo delle catene di approvvigionamento. Secondo quanto dichiarato a margine del voto da Christine Schneider, eurodeputata dei popolari che ha firmato tutti gli emendamenti, il Ppe ha ritirato gli emendamenti perché avrebbe avuto in cambio rassicurazioni dalla Commissione europea, in particolare l’impegno di riguardare le linee guida per le aziende e fare in modo di evitare una sovrapposizione di oneri burocratici tra le aziende. Fonti dei liberali sostengono invece che la decisione di ritirare gli emendamenti sarebbe figlia di un accordo tra Ppe e Renew, con il gruppo liberale che si sarebbe impegnato a non votare contro la risoluzione finale, a prescindere dall’esito del voto sugli emendamenti rimasti.
Perché l’altra importante modifica richiesta dai popolari, relativa all’introduzione di una quarta categoria di Paesi – a fianco a quelli a basso, medio e alto rischio – di Stati “senza rischio”, da cui poter continuare a importare prodotti senza nuovi obblighi, è rimasta. E gli emendamenti che l’hanno sancita sono stati approvati tutti con la stessa maggioranza, per una manciata di voti, grazie alla posizione compatta di Ppe, Conservatori (Ecr), Patrioti (PfE) e Sovranisti (Esn). Quello che ha confermato l’introduzione della nuova categoria di Paesi, è passato con 306 voti favorevoli e 303 contrari. Con una decina di franchi tiratori nel Ppe, e la maggior parte dei liberali contrari.
In particolare, nella categoria “nessun rischio” rientrerebbero Paesi “o parti di essi” in cui “lo sviluppo delle aree forestali è rimasto stabile o è aumentato rispetto al 1990” e dove è stato siglato l’Accordo di Parigi sul clima “e le convenzioni internazionali sui diritti umani e sulla prevenzione della deforestazione”. Affinché le modifiche spinte dalla ‘maggioranza Venezuela’ (dal voto di settembre sulla condanna al regime di Maduro che ha sancito l’esistenza di una maggioranza alternativa a destra) entrino in vigore, il testo dovrà ora essere negoziato nuovamente con il Consiglio dell’Ue per trovare una accordo sulla versione finale della legislazione. Con la Commissione europea che avrebbe la facoltà di ritirare in qualsiasi momento la propria proposta di modifica al regolamento, viste le modifiche sostanziali apportate dal Parlamento europeo.
Dal Ppe trapela ottimismo sul fatto che la Commissione non ritirerà la proposta. Mentre dall’esecutivo Ue non si sbottonano: “Tutto quello che possiamo dire è che ora analizzeremo il voto prima di prendere una posizione”, ha dichiarato un portavoce. Ma Verdi e Socialisti hanno già lanciato i propri appelli a von der Leyen perché ritiri la proposta di rinvio. Il gruppo ecologista ha sottolineato il guasto al sistema di voto elettronico “che ha messo in discussione il voto” e ha chiesto alla leader Ue di fare un passo indietro “per evitare un completo sventramento della legge e un’ulteriore incertezza per le parti interessate”. Per la famiglia S&d siamo di fronte “all’ennesimo caso in cui il Ppe silura il Green Deal” e secondo la delegazione del Partito Democratico a Bruxelles i popolari “hanno deciso di stracciare gli accordi con la maggioranza europeista che ha sostenuto von der Leyen e allearsi con l’estrema destra”.
Così, mentre la relatrice del Ppe, Christine Schneider, nega di “aver giocato con l’estrema destra” e di aver invece cercato in prima battuta il dialogo con tutte le forze europeiste, la delegazione della Lega esulta per la “nuova sconfitta della maggioranza Ursula” con i voti “decisivi” del gruppo dei Patrioti, che dimostrano “non solo che un’altra maggioranza è possibile ma è già realtà“. La presidente della Commissione europea ha le spalle al muro. Tenere insieme la fragile maggioranza che l’ha sostenuta a luglio è sempre più difficile. E siamo solo ai primi passi della legislatura.