Bruxelles – Continua il braccio di ferro tra gli enti territoriali e la Commissione europea sulla forma da dare al prossimo bilancio pluriennale dell’Ue. Ma oggi (12 dicembre) Raffaele Fitto, vicepresidente esecutivo del nuovo Collegio con deleghe alla Coesione e alle Riforme, ha teso un ramoscello d’ulivo ai rappresentanti delle amministrazioni locali, difendendo la centralità che la politica regionale deve mantenere anche nel prossimo periodo di bilancio (2028-2034).
Quando, nella mattinata di oggi, si è tenuta una riunione congiunta delle commissioni competenti sulla politica di coesione dell’Eurocamera (commissione Regi) e del Comitato delle regioni (commissione Coter), tutti gli occhi e le orecchie erano per Fitto, alla sua prima apparizione pubblica nel suo nuovo ruolo di vicepresidente esecutivo del von der Leyen bis.
Il tema che tiene banco ormai da mesi è quello della centralizzazione della politica di coesione nel nuovo budget dell’Ue (propriamente detto quadro finanziario pluriennale, Qfp), che coprirà il settennato 2028-2034 e che vedrà impegnati i co-legislatori (Parlamento e Consiglio) in lunghi negoziati a partire dal prossimo anno, dopo che la Commissione avrà fatto la sua proposta. Il Comitato delle regioni (CdR) ha già ribadito in più occasioni il suo “no” alla nazionalizzazione della gestione di una delle voci di spesa più importanti dell’Unione (circa un terzo del bilancio comunitario).
Secondo le indiscrezioni, mai confermate ufficialmente dal Berlaymont, il prossimo Qfp dovrebbe comportare una rivoluzione nella struttura. Anziché diverse centinaia di fondi trasversali tematici, cui gli Stati membri attingono contemporaneamente (nell’attuale bilancio sono oltre 530), l’idea sarebbe quella di ripartire i fondi comunitari in ventisette piani nazionali, sul modello della Recovery and resilience facility (Rrf) per la ripresa post-pandemica.
In questo modo, la responsabilità di decidere l’allocazione dei fondi europei verrebbe trasferita dal livello di governo locale a quello nazionale, e le capitali otterrebbero le varie tranches di finanziamenti completando una serie di riforme concordate in anticipo con l’esecutivo comunitario, proprio come accade coi Pnrr. Gli enti locali protestano perché, dicono, questa impostazione comporta una violazione dei princìpi di partenariato, sussidiarietà e governance multilivello che sono alla base dell’idea stessa da cui nasce la politica di coesione, cioè la convergenza negli indici di sviluppo socio-economici delle varie regioni dell’Unione.
Nel suo intervento, Fitto è venuto incontro almeno parzialmente alle preoccupazioni dei rappresentanti delle amministrazioni sub-nazionali. “Serve una politica di coesione con le regioni al centro”, ha scandito, assicurando che il suo impegno “è con le regioni e le città, con le regioni esterne, con le isole e quelle di confine” e promettendo che “regioni, città e cittadini dell’Unione europea saranno al centro della nostra missione”. Del resto, ha notato, “per la prima volta il portafoglio alla Coesione è stato assegnato a un vicepresidente”, a riprova del fatto che “l’Unione europea non può progredire senza una forte politica di coesione”.
Dopo aver ribadito che uno degli obiettivi fondamentali di questa politica è di far valere “il diritto delle persone di restare nel posto che considerano casa” senza doversi spostare verso regioni più economicamente sviluppate, l’ex ministro agli Affari europei ha teso la mano ai suoi interlocutori. “La politica di coesione dovrà mantenere un ruolo centrale nel prossimo bilancio a lungo termine”, ha dichiarato, “ed essere adeguatamente finanziata, allineata con le priorità Ue, ma mantenere i suoi principi fondanti, come l’approccio basato sul territorio e la governance multilivello” nonché “la gestione condivisa delle risorse” per consentire ai territori di contribuire a definire le priorità di spesa e di azione.
Ma, ha ammonito, “la politica di coesione deve essere rafforzata e modernizzata”: “Non solo in termini di riduzione delle disparità, ma anche a sostegno delle priorità dell’Europa”, cioè “transizione verde e digitale, sicurezza geopolitica e industrie strategiche, competitività, preparazione al futuro allargamento”. Per centrare questo obiettivo, ha rimarcato, “la politica di coesione dell’Unione deve evolversi”. Il primo banco di prova, a sentire il commissario, “riguarderà la revisione di medio termine del bilancio 2021-2027, che contribuirà ad accelerare l’attuazione dei programmi attuali e alla definizione della politica futura”.
Un’apertura che seppure accolta dalle amministrazioni locali e dai deputati non li ha convinti in maniera definitiva. “Fitto ci ha tranquillizzato ma ci sono ancora delle domande aperte”, ha notato ad esempio Isabelle Boudineau, consigliera regionale della Nuova Aquitania francese. “Le regioni non devono essere solamente esecutrici di una politica di coesione che viene decisa a livello nazionale”, ha spiegato, poiché quest’ultima “è efficace solo quando viene decisa dalle autorità di gestione” secondo il principio del partenariato.
D’accordo con lei, anche la pentastellata Valentina Palmisano, membro della commissione Regi: “Condivido le parole di Fitto sulla necessità di una politica di coesione moderna e rinnovata”, ha detto, “ma deve rispettare alcuni pilastri fondamentali” e “rafforzare il dialogo e la collaborazione tra Ue, Stati membri, autorità locali e regionali”, con queste ultime che “non devono essere mere esecutrici ma partner integranti” della gestione dei fondi europei. Importante, per l’eurodeputata, anche “semplificare l’accesso e l’uso dei fondi di coesione” tramite “un quadro giuridico che riduca la complessità burocratica”.