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    Home » Politica Estera » Israele-Iran, Kallas predica “de-escalation” e “diplomazia”. Ma l’Ue non ha una vera strategia

    Israele-Iran, Kallas predica “de-escalation” e “diplomazia”. Ma l’Ue non ha una vera strategia

    Sentiti i ministri degli Esteri dei Ventisette, l’Alta rappresentante continua ad auspicare una composizione politica della crisi. Ma Bruxelles resta schiacciata tra le minacce di Washington e i bombardamenti di Tel Aviv

    Francesco Bortoletto</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/bortoletto_f" target="_blank">bortoletto_f</a> di Francesco Bortoletto bortoletto_f
    17 Giugno 2025
    in Politica Estera
    Kaja Kallas

    L'Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)

    Bruxelles – Mentre non accenna a fermarsi l’escalation in Medio Oriente, l’Ue tenta di trovare un punto di caduta. Ma non c’è nulla di nuovo sul piatto dei ministri degli Esteri, riunitisi oggi per una sessione d’emergenza, oltre alle solite dichiarazioni trite e ritrite. Kaja Kallas parla di de-escalation e moderazione nello stesso momento in cui Benjamin Netanyahu minaccia di assassinare il leader iraniano Ali Khamenei e Donald Trump ingiunge alla Repubblica islamica di abbandonare completamente qualsiasi programma nucleare.

    Parlando ai giornalisti al termine del Consiglio Affari esteri straordinario riunitosi stamattina (17 giugno) in formato virtuale per discutere della guerra scatenata da Israele contro l’Iran, l’Alta rappresentante Kaja Kallas ha reiterato per l’ennesima volta le stesse formule, ormai quasi stucchevoli, che i vertici comunitari, gli Stati membri e i leader del G7 stanno ripetendo da giorni.

    Kaja Kallas
    L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)

    L’Ue, ha detto l’ex premier estone, “chiede a entrambe le parti di rispettare il diritto internazionale e dare prova di moderazione“. La riunione odierna è stata utile, ha aggiunto, anche a “coordinare gli Stati membri nell’evacuazione dei nostri cittadini dalla regione“, scopo per cui l’Ue ha attivato il suo meccanismo di protezione civile.

    La pista negoziale: il nodo del nucleare iraniano

    Le discussioni si sono incentrate “su cosa possiamo fare per facilitare la de-escalation“, spiega Kallas. Bruxelles, sottolinea Kallas, “sostiene una soluzione diplomatica” su tutti i fronti: sia per quel che riguarda la guerra in corso, ormai al suo quinto giorno, sia per riportare in carreggiata il processo negoziale relativo al programma nucleare di Teheran.

    “Ora che i colloqui tra Iran e Stati Uniti si sono interrotti, l’Ue ha un ruolo da giocare“, dice, annunciando di essere in contatto con le controparti israeliana e iraniana nonché coi partner locali, poiché “la stabilità della regione è nell’interesse di tutti“. E tale stabilità, osserva, passa per un Iran senza bomba atomica.

    Sul punto, l’approccio di Bruxelles pare meno tranchant rispetto a quello di Washington. Se l’inquilino della Casa Bianca ha intimato alla dirigenza di Teheran di rinunciare completamente a qualunque forma di arricchimento dell’uranio (incluso per scopi civili), Kallas ammette di aver “avuto discussioni con l’Iran riguardo al suo programma nucleare“, dando conto delle diverse sensibilità sulle due sponde dell’Atlantico: “Gli Stati Uniti parlano per sé“, rimarca, e non per i Ventisette.

    Donald Trump
    Il presidente statunitense Donald Trump (foto: Brendan Smialowski/Afp)

    L’Alta rappresentante ha definito “deplorevole” il ritiro degli Usa dal Joint comprehensive plan of action (Jcpoa) nel 2018, deciso dallo stesso Donald Trump durante il suo primo mandato. Le trattative bilaterali tra Washington e Teheran per trovare una nuova intesa, in sostituzione dello storico accordo del 2015 (mediato proprio dall’Ue, insieme a Russia e Cina), erano giunte ad un punto morto nelle scorse settimane.

    Finché, un paio di mesi fa, il presidente statunitense aveva lanciato un ultimatum alla dirigenza iraniana, allo scadere del quale sono arrivate, puntuali, le bombe dello Stato ebraico.

    Il fronte militare

    Benjamin Netanyahu ha giustificato quell’attacco preventivo – una pratica controversa sotto il profilo del diritto internazionale, ma che nessuno a Bruxelles si sogna di mettere in discussione – sostenendo che la Repubblica islamica fosse ad un passo dalla bomba atomica, con la quale avrebbe minacciato direttamente l’esistenza di Israele.

    Eppure, almeno stando alle ricostruzioni dei media statunitensi, la stessa intelligence a stelle e strisce ha recentemente segnalato che agli ayatollah sarebbero serviti almeno tre anni per costruire un ordigno e usarlo contro i propri nemici.

    E gli Stati Uniti? L’Alta rappresentante considera che un intervento diretto di Washington a fianco dello Stato ebraico “trascinerebbe l’intera regione in un conflitto più ampio e questo non è nell’interesse di nessuno“, derubricando comunque questa eventualità come irrealistica (lei stessa, dice, ha ricevuto rassicurazioni in tal senso dal suo omologo Marco Rubio). Peraltro, Kallas riconosce che da Teheran è giunta la disponibilità a fermare i missili se Israele sospende i bombardamenti.

    Benjamin Netanyahu
    Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto via Imagoeconomica)

    Ma non è stata in grado di definire nello specifico quali iniziative diplomatiche l’Ue abbia in programma, o in quali modi intenda “esercitare pressione” sui belligeranti – entrambi – per ottenere la conclamata de-escalation. Nel frattempo, nonostante il “veto” che Trump sostiene di aver posto su un’operazione simile, le alte sfere di Tel Aviv continuano ad accarezzare l’idea di assassinare la guida suprema iraniana Ali Khamenei.

    Per quest’ultimo, dicono, potrebbe essere in serbo una sorte simile a quella di Saddam Hussein, il dittatore iracheno deposto e giustiziato in seguito all’invasione del 2003 del Paese del Golfo ad opera della coalizione dei volenterosi (l’originale) guidata dagli Usa. Un parallelo interessante, considerato che quella guerra venne giustificata con il presunto possesso da parte di Baghdad di armi di distruzione di massa che in realtà non erano mai esistite.

    Da Gaza a Kiev (e Mosca)

    I ministri degli Esteri hanno anche discusso, brevemente, della catastrofe umanitaria che continua a consumarsi nella Striscia, messa in secondo piano dall’escalation militare ordinata da Netanyahu. “Non lasceremo cadere l’attenzione su Gaza“, ha ribadito il capo della diplomazia a dodici stelle, ripetendo la necessità che venga “garantito immediatamente l’ingresso degli aiuti umanitari e messo in piedi un cessate il fuoco completo” che includa il rilascio di tutti gli ostaggi.

    La revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele, su cui stanno lavorando i servizi della Commissione, sarà invece sul tavolo del Consiglio Affari esteri di lunedì prossimo (23 giugno). Ma è un segreto di pulcinella che non sarà possibile stracciarlo (come chiedono sempre più voci in Ue), poiché per farlo serve l’unanimità.

    Vladimir Putin
    Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)

    Infine, c’è stato tempo anche per menzionare la guerra in Ucraina. Nelle scorse ore, ha detto Kallas, la Russia ha condotto su Kiev uno dei raid più devastanti da oltre tre anni a questa parte, dimostrando di non essere interessata ad alcuna tregua.

    Pertanto, taglia corto l’Alta rappresentante, Vladimir Putin non può in alcun modo essere investito del ruolo di mediatore nel conflitto tra Tel Aviv e Teheran, come recentemente suggerito da Trump e, anzi “dobbiamo mantenere la pressione” sul Cremlino. Tradotto: avanti tutta con l’approvazione del 18esimo pacchetto di sanzioni.

    Che però è destinato a rimanere zoppo, dato che il tycoon ha confermato di non appoggiare una delle sue componenti centrali, cioè l’abbassamento del tetto al prezzo del greggio russo da 60 a 45 dollari al barile (sul quale devono essere d’accordo tutti i partner G7). Secondo Kallas, “dovremmo andare avanti” sul price cap, e l’escalation mediorientale fornisce una ragione in più: “Proteggere la stabilità dei mercati globali dell’energia“.

    Tags: Ali KhameneiBenjamin Netanyahudonald trumpguerra Israele-IranIranisraeleJcpoakaja kallasnucleare iraniano

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