Bruxelles – Continua ad avvitarsi la crisi politica che da mesi attanaglia la Romania. I futuri partner di governo non riescono a mettersi d’accordo né sulla distribuzione delle cariche né, soprattutto, su come ridurre il gigantesco deficit di bilancio del Paese, mentre incombe la scadenza per presentare a Bruxelles il piano di rientro.
La fumata nera è arrivata nella serata di ieri (19 giugno), quando si sono conclusi con uno stallo gli ennesimi negoziati di coalizione tra le quattro formazioni europeiste che stanno cercando di dare un governo al Paese balcanico. La giornata sarebbe dovuta chiudersi con l’annuncio di un nuovo primo ministro per sostituire Cătălin Predoiu, il cui mandato ad interim scade oggi.
Bucarest è rimasta senza un esecutivo a inizio maggio, dopo che il candidato della maggioranza Psd-Pnl-Udmr (socialdemocratici, liberali e rappresentanti della minoranza ungherese), Crin Antonescu, non è riuscito a ottenere abbastanza voti al primo turno delle presidenziali per passare al ballottaggio, poi vinto dall’ex sindaco della capitale, Nicușor Dan.

I colloqui tra Psd, Pnl, Udmr e Usr (il partito di centro-destra fondato da Dan) si sono incagliati sulla spinosa questione dell’aumento dell’Iva. Il leader del Pnl, Ilie Bolojan, vorrebbe portarla dall’attuale 19 per cento al 21 per cento: secondo lui, è l’unico modo per iniziare a risanare i disastrati conti pubblici nazionali. Ma Dan, che in qualità di capo dello Stato sta presiedendo alla formazione del nuovo esecutivo, non ne vuole sapere. Oltre all’Usr, anche l’Udmr è contrario all’aumento dell’imposta.
Quella della riduzione dell’enorme deficit del bilancio statale è una vera e propria corsa contro il tempo per Bucarest. Entro il 30 giugno, il governo (che ancora non c’è) deve presentare a Bruxelles un piano di rientro credibile per riportare il rapporto tra disavanzo e Pil dall’attuale 9,3 per cento (il più elevato in Ue) sotto la soglia del 3 per cento, come previsto dai vincoli europei.
Il percorso di rientro può avvenire lungo un orizzonte temporale di sette anni, ma le proposte su come arrivarci vanno inviate alla Commissione entro fine mese, pena il congelamento delle prossime rate del Pnrr (e un’ulteriore riduzione della fiducia degli investitori esteri). Gli strumenti principali a disposizione sono il taglio della spesa pubblica, favorito da Dan, e l’aumento delle tasse, a partire dall’Iva, come suggerito da Bolojan (che su questo avrebbe trovato la sponda del Psd).

In realtà, sarebbe la stessa composizione della futura compagine governativa (ribattezzata dalla stampa “coalizione Mauritius” per i colori abbinati ai suoi membri) ad essere in dubbio. Teoricamente, l’accordo tra i partiti prevede un avvicendamento a metà legislatura tra Bolojan e un esponente socialdemocratico nella carica di primo ministro.
Tuttavia, il presidente dell’Udmr, Kelemen Hunor, starebbe diventando sempre più insofferente al braccio di ferro in corso e, secondo la stampa locale, sarebbe arrivato a minacciare di ritirare il suo partito dai negoziati. Il partito della minoranza ungherese vorrebbe mantenere il controllo del ministero delle Finanze, mentre l’accordo di coalizione gli affiderebbe il dicastero dello Sviluppo e della Cultura. I potenziali partner sarebbero in disaccordo anche sulla distribuzione di altri ruoli apicali, inclusi quelli dei servizi di intelligence e due giudici alla Corte costituzionale.
Pallottoliere alla mano, l’Udmr non sarebbe strettamente indispensabile per tenere in piedi l’esecutivo: se anche quest’ultimo fosse composto solo da Psd, Pnl e Usr, deterrebbe 175 seggi sui 331 totali della Camera dei deputati (il ramo basso del legislativo romeno), dove la soglia della maggioranza è fissata a 166.