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    Home » Green Economy » Clima ed edilizia: Il lavoro di LCBI per un marchio panUe dell’impronta di carbonio degli immobili

    Clima ed edilizia: Il lavoro di LCBI per un marchio panUe dell’impronta di carbonio degli immobili

    Intervista a Cécile Dap, direttrice di Low Carbon Building Initiative (LCBI), iniziativa creata nel 2022 per sviluppare una certificazione a basse emissioni di carbonio per i progetti immobiliari in Europa per accelerare la decarbonizzazione del settore: "Gli obiettivi Ue verso la neutralità sono indispensabili alla luce dei cambiamenti climatici già in atto"

    Giulia Torbidoni di Giulia Torbidoni
    17 Settembre 2025
    in Green Economy
    Case Green clima

    Bruxelles – L’Europa unita si fa anche a partire da una misurazione uguale e armonizzata in tutti i Ventisette Paesi membri dell’impronta carbonica degli edifici. Ad esempio, creando il primo marchio paneuropeo a basse emissioni di carbonio che misuri l’impronta di carbonio degli immobili sulla base di un’analisi del ciclo di vita.

    È l’obiettivo di Low Carbon Building Initiative (LCBI) che, lanciata nel 2022 da operatori immobiliari come Generali Real Estate, Covivio, BPI Real Estate, BNP Paribas Real Estate, Bouygues Immobilier, WO2, Icamap, NSI, Ivanhoé Cambridge e guidata dall’Associazione per lo Sviluppo di Edifici a Basse Emissioni di Carbonio (BBCA), mira a sviluppare una certificazione a basse emissioni di carbonio per i progetti immobiliari in Europa per accelerare la decarbonizzazione del settore.

    Basata su standard e riferimenti europei chiave, la metodologia LCBI vuole ad armonizzare le pratiche di
    valutazione del ciclo di vita (LCA) in tutta Europa. Considerando l’intero ciclo di vita, il marchio LCBI, verificato da Bureau Veritas, misura l’impronta di carbonio e la completezza dell’LCA su tre livelli: carbonio incorporato, carbonio operativo e misurazione del carbonio biogenico immagazzinato all’interno dell’edificio. E il marchio prevede tre livelli di prestazione: Standard, Performance ed Eccellenza.

    “Si tratta di un’iniziativa avviata tre anni fa, promossa da importanti investitori immobiliari in Europa e da BBCA, una non-profit francese che lavora su questi temi relativi al carbonio da 10 anni, ed è stata lanciata principalmente per un motivo: perché gli attori hanno difficoltà a misurare l’impronta di carbonio dei loro asset in Europa con la stessa metodologia e quindi fanno fatica a confrontare i dati sul carbonio”, ci spiega Cécile Dap, la direttrice di LCBI. La conseguenza di tale ragione “è che si può parlare di impronta di carbonio in un Paese e magari fare un po’ di greenwashing solo perché la metodologia non è la stessa”. A ciò si aggiunge il fatto che “è estremamente importante per tutti gli investitori essere in grado di confrontare i dati sul carbonio con dati affidabili”.

    Un’altra ragione è che ci sono “alcuni schemi di certificazione molto famosi e utilizzati nel settore immobiliare, il BREEAM, il LEED” che sono “molto noti e sono riusciti a portare il tema della sostenibilità nel settore immobiliare”, ma che “ora stanno raccogliendo diversi criteri diversi ed è molto difficile renderli trasparenti in termini di dati sul carbonio”. Quindi, “questo è il motivo per cui abbiamo colto l’occasione per creare una metodologia armonizzata e uno schema di certificazione specifico sull’impronta di carbonio a livello europeo – e solo sull’impronta di carbonio -, per essere il più precisi e trasparenti possibile e per limitare l’impronta di carbonio degli asset a livello europeo”.

    Eunews: Vi confrontate con la Commissione europea e le istituzioni Ue?
    Dap: “Ci confrontiamo regolarmente con la Commissione europea. Quando lavoriamo, creiamo un gruppo di aziende che forniscono feedback e progetti, ma anche un gruppo di esperti tecnici che discute fin dall’inizio con la Commissione europea, perché anche prima della direttiva EPBD (la direttiva sulla prestazione energetica degli edifici, ribattezzata mediaticamente ‘Case Green’, ndr) esistevano già alcuni standard a livello europeo. Quindi, il nostro obiettivo non è reinventare qualcosa di completamente diverso, ma precisare di più ciò che già esisteva. Dunque, ci confrontiamo molto con la Commissione, in particolare con la DG Energia, la DG Clima e anche la DG Sviluppo, per allinearci al lavoro che stanno svolgendo e agli standard esistenti e, dall’altro lato, per poter fornire
    feedback su ciò che sta accadendo. In questo momento, la cosa più interessante – e penso che, in questo senso, il dialogo sia molto positivo e pertinente – è che ci stiamo concentrando principalmente sulla parte relativa alla metodologia e alle soglie di contabilizzazione del carbonio. Ora siamo in grado di fornire sia le competenze che i nostri risultati raccolti sul campo perché, quando abbiamo sviluppato la metodologia, ne abbiamo discusso con le squadre operative che dovevano testarla per verificarne l’efficacia. Ritengo sia essenziale avere questo tipo di feedback, che è concreto, e poterlo fornire alla Commissione europea. E inoltre, ora possiamo anche seguire il loro lavoro sull’attuazione della Direttiva EPBD e fornire un feedback”.

    E: Quali sono gli obiettivi che vi proponete?
    D: L’obiettivo è ridurre l’impronta di carbonio degli asset in termini di costruzione, quindi in termini di materiali utilizzati e di utilizzo, ovvero in termini di quello che chiamiamo carbonio incorporato, nonché il carbonio emesso durante l’utilizzo dell’edificio (carbonio operativo), considerato nel suo complesso, ovvero quello che chiamiamo carbonio emesso durante l’intero ciclo di vita dell’edificio. Ha un impatto globale in termini di cambiamento climatico e il vero obiettivo finale è cercare di far sì che anche il settore immobiliare, in qualche modo, combatta contro il cambiamento climatico. Inoltre, si tratta di qualcosa che riguarda più direttamente i consumatori e gli utenti degli edifici. Credo che gli edifici possano essere costruiti in modo diverso, usando diversi tipi di materiali che hanno un’impronta di carbonio inferiore. Oggi vediamo che vengono utilizzati nuovi tipi di materiali, legno, cemento a basse emissioni di carbonio, ma anche altri materiali di origine biologica. Abbiamo nuovi modi di progettare gli edifici per essere un po’ più sobri in termini di concezione e così via. Inoltre, credo che gli edifici ora verranno ripensati anche in termini di possibilità di riutilizzo o magari di modifiche future, ad esempio, trasformandoli da uffici a residenziali e così via. E, in termini di utilizzo, non dimentichiamoci che una parte dell’impronta di carbonio deriva, ovviamente, dal consumo energetico dell’edificio: quindi, per le persone ha un’importanza anche maggiore perché gli edifici dovrebbero essere più efficienti in termini di consumo energetico. Con bollette più leggere di conseguenza.

    E: Spesso le persone sono ‘spaventate’ da questo cambiamento delle proprie abitazioni…
    D: In Europa, il settore immobiliare rappresenta tra il 30 e il 40% dell’impronta di carbonio e tutti i Paesi in Europa finora si sono impegnati nella decarbonizzazione. Ma la maggior parte degli edifici in Europa oggigiorno sono stati già costruiti. Quindi, per le persone, la maggior parte della decarbonizzazione nel settore immobiliare riguarderà in modo particolare la ristrutturazione, piuttosto che cambiare il proprio appartamento e dover costruire qualcosa di nuovo. In LCBI, noi ci siamo concentrati in primo luogo sulle nuove costruzioni perché per noi, e in realtà la Commissione europea ha fatto lo stesso, è più facile armonizzare le metodologie e confrontare i dati sulle emissioni di carbonio sui nuovi edifici. Ma un tema importante che vogliamo affrontare entro la fine dell’anno è la ristrutturazione. Quindi, se la decarbonizzazione riguarda di più la ristrutturazione, allora il risultato finale per le persone sarà principalmente un consumo di energia più basso e più pulito. Inoltre, vorrei far presente che la decarbonizzazione riguarda anche la vita futura delle persone. In Francia la questione è già regolamentata, con limiti per l’impronta di carbonio degli edifici. E ci sono alcuni studi sui costi che valutano se sia più o meno costoso costruire nuovi edifici decarbonizzati. Il risultato è che il costo aggiuntivo approssimativo è solo tra lo zero e il cinque percento perché riguarda il cambiare processo di valutazione dell’impronta di carbonio. Voglio dire che se gli attori della filiera considerano l’impronta di carbonio come un argomento strategico fin dall’inizio di un progetto, il risultato finale non sarà così costoso. Perché la riduzione fa parte integrante dell’intero progetto, dall’inizio alla fine. Lo diventa, costoso, quando si impegna meno tempo nella questione e, poi, si corre a ridurre l’impronta di carbonio alla fine del progetto. Un altro elemento da tenere presente è che questo percorso sta lanciando un’industria nuova e sta creando posti di lavoro in tutta quella che è la creazione di materiali sostenibile, nell’innovazione e così via. Quindi, ci sono anche molti impatti positivi reali e nel lungo termine.

    E: E gli acquirenti fanno attenzione al consumo energetico e all’impronta di carbonio degli edifici?
    D: Questo è sicuramente un criterio fondamentale per le sedi aziendali, ovvero avere edifici a basse emissioni di carbonio. Sta diventando un criterio anche per alcuni beni pubblici, a seconda del Paese: alcuni Stati hanno già istituito alcuni programmi di appalti pubblici decarbonizzati. È qualcosa che si sta diffondendo e credo che le persone stiano diventando più consapevoli dell’impronta di carbonio e della decarbonizzazione. E lo riconoscono come tema da valutare.

    E: Quali sono i vostri obiettivi per quest’anno?
    D: Innanzitutto, c’è un filone che punta ad estendere l’uso dell’attuale schema di certificazione e quindi ci confrontiamo costantemente con alcuni partner in diversi Paesi europei per ampliare la nostra portata. Abbiamo avuto diversi edifici certificati in Lussemburgo, in Italia, in diversi Paesi. È un lavoro continuo con i nostri partner di certificazione, noi abbiamo due partner di certificazione: Bureau Veritas e Certivia. Poi stiamo estendendo il nostro attuale schema di certificazione agli asset logistici.
    La logistica è un mercato piuttosto dinamico ed è anche ad alta intensità di carbonio. Quindi, sì, crediamo davvero che sia estremamente importante affrontare questo tema e stiamo lavorando per questo con alcuni attori della logistica. Poi stiamo anche cercando di impostare il lavoro futuro per affrontare l’ammodernamento: attualmente ci stiamo rivolgendo a otto Paesi europei e continuiamo a cercare partner per estendere il progetto. Io credo che ci sia una serie di regolamenti Ue che affrontano già molti argomenti nel settore immobiliare: ora si deve vedere come tutto questo materiale normativo verrà integrato e attuato dagli Stati membri.

    E: L’ambizione ambientale dell’Ue, verso la neutralità climatica al 2050, è raggiungibile o troppo elevata?
    D: Non credo che sia troppo ambizioso. Ritengo indispensabile avere questo tipo di obiettivi, alla luce dei cambiamenti climatici già in atto. Ad esempio alcuni attori privati erano allineati con l’accordo di Parigi 1.5 prima che lo facessero le normative. Non sto dicendo che sarà facile, ma sì, è possibile. Sono abbastanza ottimista nel senso che vediamo molti di loro raggiungere quegli obiettivi e porsi obiettivi ancora ambiziosi. Ma, ovviamente, c’è ancora molto lavoro da fare.

    Tags: casecertificazionecommissioneedificiemissioniimpronta carbonioLCBIneutralità climaticaristrutturazioneue

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