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    Home » Politica Estera » L’Islanda risanata: molla la sinistra, l’Ue, e torna ai bancarottieri

    L’Islanda risanata: molla la sinistra, l’Ue, e torna ai bancarottieri

    Dopo cinque anni di amministrazione socialdemocratica il paese torna a destra. L’austerity anti – crisi del governo e la possibilità di entrare nell’euro non piacciono agli islandesi: al potere torna la stessa forza politica che aveva gettato il paese nel baratro. E con i voti della sinistra il Partito Pirata entra per la prima volta in Parlamento.

    Redazione</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/eunewsit" target="_blank">eunewsit</a> di Redazione eunewsit
    7 Maggio 2013
    in Politica Estera

    Dopo cinque anni di amministrazione socialdemocratica il paese torna a destra. L’austerity anti – crisi del governo e la possibilità di entrare nell’euro non piacciono agli islandesi: al potere torna la stessa forza politica che aveva gettato il paese nel baratro. E con i voti della sinistra il Partito Pirata entra per la prima volta in Parlamento

    Bjarni Benediktsson
    Bjarni Benediktsson

    Uno schiaffo al Vecchio Continente e la ribellione alle politiche di austerità e rigore imposte dal Primo Ministro uscente, la socialdemocratica Jóhanna Sigurðardóttir. Così in molti hanno commentato la netta vittoria ottenuta, in Islanda, dai partiti conservatori meglio conosciuti come “euroscettici” durante le elezioni parlamentari del 27 aprile scorso.

    Con il 26,7% e il 24,4% dei voti il partito dell’Indipendenza guidato dal quarantatreenne ex calciatore professionista Bjarni Benediktsson e il Partito del Progresso di Sigmundur Davíð Gunnlaugsson – alleato dell’IP – sono rispettivamente la prima e la seconda forza politica del paese. I 19 e 18 seggi ottenuti dai due partiti (37, su 63 in totale) danno al centrodestra la maggioranza assoluta in Parlamento che dovrebbe consentire a Benediktsson di diventare presto il nuovo Primo Ministro dell’Isola.

    Un risultato, questo, decisamente schiacciante sulla coalizione vincente del 2009 con a capo Sigurðardóttir e formata dall’Alleanza dei socialdemocratici insieme al Movimento di sinistra – verde: per loro, adesso, solo 9 e 7 seggi corrispondenti ad un misero 23,8% di consensi totali. E mentre qualcuno legge il risultato elettorale come segno evidente del fatto che gli islandesi non hanno apprezzato la politica di austerità imposta dal precedente governo socialdemocratico, misura necessaria, sebbene drastica, per salvare il paese dalla bancarotta in cui era precipitato, altri sottolineano che “la gente sembra avere una memoria molto corta”. “Questi” pare abbia detto un elettore appena uscito da un seggio di Reykjavik alludendo ai futuri vincitori, “sono soprattutto i partiti che ci hanno messo alla fame”. Il riferimento è, appunto, alla crisi economica del 2008 iniziata sotto il governo conservatore (da sempre alla guida del paese tranne l’ultima legislatura) e poi arginata dal centro – sinistra con politiche rigoriste molto severe che, sebbene tra le polemiche, hanno portato una serie di successi tra cui il costante aumento del PIL dell’1.6% e il calo della disoccupazione al 9%. Risultati, però, che non hanno soddisfatto gli isolani.

    Secondo i dati il popolo dell’isola di ghiaccio vivrebbe tutt’oggi una condizione di precaria stabilità: una famiglia su dieci avrebbe problemi nel rispettare le scadenze per il pagamento dei mutui e la fuga dei cervelli all’estero pare essere ancora molto elevata. Tanto più che il governo Sigurðardóttir lavorava per l’entrata del paese nell’Unione Europea, una scelta “necessaria” che però, dettata dalla principale finalità di garantire la stabilizzazione dei prezzi, ultimamente attirava i consenti solo del 25% degli intervistati. L’Islanda, infatti, che pur fa parte dello Spazio economico europeo (Ees), l’area di libero scambio con l’Ue, non ha mai visto di buon occhio il dover sottostare alla sovranità di Bruxelles e subire, così, una forte limitazione del proprio governo nazionale.

    Adesso la procedura di ingresso nell’Unione Europea, già sospesa in tempo di campagna elettorale, potrebbe essere del tutto cancellata dal nuovo Premier vanificando così, il lavoro di Sigurðardóttir, che aveva faticato a raggiungere accordi con Bruxelles su questioni spinose come la politica agricola comune (PAC) e la pesca.

    E se ormai era noto che gli islandesi non fossero propriamente un popolo “europeista” la vera novità viene dal successo elettorale ottenuto dal Partito Pirata anti copyright a favore della libertà del web, che con tre seggi e il 5% dei voti – “rubati” al centrosinistra, si pensa – entra per la prima volta in Parlamento. L’obiettivo del partito nato in Svezia nel 2006 e rappresentato al governo dai tre giovani Jon Thor Olafsson, Helgi Hrfn Gunnarsson e Birgitta Jonsdottir – già nota per il caso Wikileaks – è quello di garantire una maggiore trasparenza e libertà sulla piattaforma del web.

    Loredana Recchia

    Per saperne di più:
    – L’Islanda guarda l’Europa. Sempre più da lontano

    Tags: Bjarni BenediktssonislandaPiratiSigurðardóttir

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