Roma – Per venire fuori dalla crisi, “l’Eurozona ha bisogno di crescita” perché “con il solo risparmio” sui bilanci pubblici “non ne usciamo”, serve “un sistema di incentivi per stimolare la crescita negli Stati”. Il concetto è stato più volte ripetuto dal governo italiano in tutte le salse, ma a stupire è che stavolta la tesi sia sostenuta da Elmar Brok, consigliere del cancelliere tedesco Angela Merkel ed esponente del Ppe eletto nelle fila della Cdu tedesca al Parlamento europeo, dove presiede la commissione Esteri.
Certo, Brok ritiene che quegli incentivi siano già presenti (leggi clausole di flessibilità alle regole del Patto di stabilità e Piano Juncker per gli investimenti), ma che un esponente di spicco del partito di Angela Merkel riconosca i limiti del rigore nel far ripartire l’economia europea appare una vera e propria conquista per chi, come il presidente del Consiglio Matteo Renzi, va chiedendo un “cambiamento di rotta” nelle scelte di politica economica.
Cambiamento che secondo il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi – il quale ha partecipato insieme con Brok agli eventi organizzati ieri a Roma dal Gruppo Spinelli, un workshop a Palazzo Giustiniani e un dibattito pubblico a Montecitorio – va realizzato “prima di pensare a un ministro del Tesoro per la Zona euro”. È quanto indicato nel documento italiano per l’Europa. Per “non creare un nuovo personaggio in cerca d’autore”, ha spiegato Gozi parafrasando Pirandello, bisogna “prima cambiare il policy mix” troppo sbilanciato verso il rigore, “poi creare un bilancio dell’Eurozona con risorse proprie” e, solo a quel punto, “chi gestisce queste risorse può essere un ministro del Tesoro europeo”, inquadrato come “vice presidente della Commissione europea”.
Riguardo alla modifica della governance più ampia dell’Ue è stato ancora Brok a lanciare un’altra proposta pesante: trasformare il Consiglio europeo in “una seconda camera” che riunisca “tutte le formazioni del Consiglio” stesso e dove si possa esercitare “un dibattito pubblico”. Un’idea che ricalca grosso modo quella illustrata dal presidente della Commissione Politiche Ue di Palazzo Madama, Vannino Chiti, che in una intervista a Eunews proponeva di trasformare l’organo di rappresentanza dei governi in un Senato europeo.
I temi della governance, con l’ovvia spinta verso una maggiore integrazione, vista la vocazione federalista del Gruppo Spinelli, sono stati al centro di entrambi gli eventi. Nessuno ha nascosto i timori sulla tenuta dell’impalcatura europea, espressi ad esempio dall’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che domandava se ci sia “qualche possibilità di ripristinare in 15 giorni, entro il prossimo Consiglio straordinario sull’immigrazione, l’autorità delle istituzioni europee”, messa in crisi da azioni unilaterali di alcuni Paesi membri.
Il parere condiviso dai partecipanti è che la risposta possa essere ricercata solo costruendo “più Europa”. Ne è convinto anche il liberale Guy Verhofstadt, presidente del gruppo Alde al Parlamento europeo, secondo il quale “l’unico modo di proseguire è andare verso il federalismo europeo”. Una necessità, a suo avviso, nel campo della difesa. Se mettiamo insieme i Paesi membri dell’Ue, argomenta, si può vedere che “spendiamo più degli Stati uniti per la difesa e abbiamo più uomini”. Però “contiamo zero” sulla scena internazionale, è la sua tesi, dimostrata dal fatto che “Usa e Russia hanno raggiunto un accordo sulla cooperazione militare e ci hanno tenuti fuori”.
Lo stesso ragionamento vale per il controllo delle frontiere. Anche per questo compito, denuncia il belga, usiamo “più uomini e risorse degli Usa ma senza risultati efficaci”. Un problema che, al contrario dell’istituzione di una Difesa comune, potrebbe trovare soluzione molto più rapidamente, visto che è già sul tavolo la proposta di una Guardia di frontiera europea.
Pero, secondo Michele Bordo, presidente della commissione Politiche Ue della Camera, intervenire con una gestione comune delle frontiere esterne necessario ma non basta. Bisogna “concentrare sforzi e risorse per sostenere lo sviluppo e la stabilizzazione dei Paesi di provenienza”. È questo, a suo avviso, il modo per “prevenire un esodo così massiccio che nessun Paese europeo, neanche il più ricco, può affrontare”. Anche per questo, dunque, è necessaria un’europa più unita.