Roma – In consessi come il G20 e il G8 ormai “si discute del fallimento dell’austerity”, e se in Europa ancora non si è abbandonata la ricetta del rigore economico per far ripartire la crescita è per la “debolezza strutturale” di alcuni leader socialisti, i quali “dicono di condividere” la battaglia per far cambiare direzione all’Ue, ma poi si impegnano “a giorni alterni”. È questo l’attacco sferrato dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, all’inizio del suo intevento alla Direzione nazionale del Partito democratico, e il bersaglio inequivocabile è il presidente francese François Hollande.
Renzi non lo ha nominato, ma è chiaro che si riferisse al capo dell’Eliseo, responsabile della rottura di quel direttorio europeo a tre (Italia, Francia e Germania) che il premier pensava di aver costruito la scorsa estate a Ventotene, ma al quale Hollande ha di fatto preferito lo storico asse franco-tedesco, dimostrando quell’impegno “a giorni alterni” denunciato dal premier.
Per il presidente del Consiglio, dunque, Hollande è un esponente del Pse che non ha lavorato per il Pse. È questo l’elemento che dà anche una valenza simbolica alle accuse di Renzi contro il suo compagno di partito in Europa. Perché l’attacco arriva proprio da un podio, quello della Direzione Pd, dal quale il segretario-premier fa l’ultimo tentativo per convincere la minoranza interna al suo partito a evitare lo strappo sul referendum costituzionale.
Per far desistere la sinistra dem a votare No alla riforma, il premier ha messo sul piatto un’apertura sulla possibilità di cambiare la legge elettorale, come chiesto più volte da loro. La proposta è di una commissione del partito che dialoghi con le altre forze politiche per trovare un accordo sulle modifiche all’Italicum. Si è detto disposto a mettere in discussione tutti i punti chiave di quella che comunque considera una buona legge elettorale, ma nel concreto la discussione la si deve fare dopo il referendum. Una tempistica che non convince i suoi oppositori interni, i quali tuttavia hanno evitato la rottura scegliendo ancora una volta l’attesa.
Uno degli sfidanti di Renzi allo scorso congresso del Pd, Gianni Cuperlo, ha voluto “cogliere l’apertura” del premier pur rimanendo diffidente. Per questo chiede che l’accordo su una modifica dell’Italicum arrivi prima del referendum. Senza questo segnale, ha annunciato Cuperlo, “il 4 dicembre non posso votare la riforma che ho votato 3 volte in Parlamento”. Una posizione analoga a quella di Roberto Speranza, altro esponente della minoranza, secondo il quale la proposta di Renzi “non è sufficiente”, perché sulla legge elettorale “serve un’iniziativa Pd e una spinta del governo”.
Lo scontro sembra dunque destinato a proseguire nelle prossime settimane, anche perché il segretario-premier non sembra essere disposto a tutto per evitare la rottura: “La nostra responsabilità di tenere unito il partito non può tenere fermo il Paese”.