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    Home » Editoriali » Tredici. Si può fare

    Tredici. Si può fare

    Michele Gerace</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@michele_gerace" target="_blank">@michele_gerace</a> di Michele Gerace @michele_gerace
    6 Febbraio 2017
    in Editoriali

    O indietro, o avanti. È un dato di fatto. L’integrazione europea al momento è in uno stato di forte squilibrio in cui o si va avanti o si torna indietro. Adesso sono in voga le posizioni “indietriste” per cui la risposta alla sofferenza economica, politica e sociale dell’Europa è lo smantellamento di pezzi dell’Unione europea, a partire dall’euro. Non è la tua posizione. Confido ancora in una maggioranza silenziosa europeista che purtroppo, però, si va assottigliando giorno per giorno.

    Europa e Unione europea esprimono significati diversi. Disillusione, scontento e scetticismo sono reazioni all’Unione europea, alle Istituzioni, alla macchina amministrativa. Sono reazioni comprensibili e in parte molto condivisibili che non hanno nulla a che vedere con l’idea di Europa ed il sentirsi europei. Ogni volta che sembra occuparsi di questioni apparentemente irrilevanti o impercettibili ai più, che non prende posizione quando dovrebbe e che sembra tradire gli interessi dei cittadini, rafforza lo scetticismo e rende impalpabili le idee e i valori alla base della costruzione europea.  Con il passare del tempo le idee dei padri fondatori si sono progressivamente offuscate in lontananza, tanto da aver perso gran parte della loro forza sia tra le élites politico-istituzionali — incapaci di produrre una leadership e una visione paneuropea di medio e lungo termine, e ormai portatrici di istanze economico-tecnocratiche a discapito di formulazioni ideazionali su cosa dovrebbe essere l’Europa — sia tra gli elettorati degli Stati membri, nei quali guadagnano terreno l’euroscetticismo, il populismo e il nazionalismo più retrivo. Molti euroscettici si sentono europei ma non si sentono rappresentati, non conoscono chi li rappresenta e se li conoscono non li capiscono e non si fidano. È un problema di personale politico inadeguato ed è un problema generazionale perché la generazione che aveva vissuto i drammi della guerra va sparendo, sia tra gli elettori che tra i leader. Infine è un problema di “asimmetria discorsiva” tra i messaggi semplici e diretti delle forze euroscettiche (“l’euro ci affama!” e via dicendo) e la difficoltà a mettere in campo una retorica e un immaginario politico altrettanto efficace da parte delle forze europeiste. Nel messaggio politico ci vogliono sia la testa che la pancia, e l’europeismo avrà un grosso problema finché non saprà parlare anche alla pancia della gente. 

    L’Unione europea può risultare distante, può essere incomprensibile e può ispirare diffidenza ma non per questo è da buttare. Bisogna andare oltre. Tredici è il titolo di questo articolo in questo blog, Il tredicesimo di una serie di articoli dedicati a delle conversazioni, più o meno politicamente scorrette, con chi ancora crede nella bellezza dell’idea di Europa e nella necessità pratica degli Stati Uniti d’Europa. Piero Tortola è un politologo che si occupa principalmente di Unione europea. E’ abruzzese, di Vasto, e dopo aver passato un decennio all’estero (prima negli Stati Uniti, poi in Gran Bretagna) è tornato in Italia, a Torino, dove vive ormai da più di quattro anni. Attualmente dirige l’osservatorio di affari europei EuVisions. Come Andrea Pugliese che nella precedente conversazione ha raccontato di aver conosciuto sua moglie in una visita di studio in Europa, Piero ha una moglie di Belgrado che ha conosciuto quando entrambi studiavano a Oxford, e una bellissima bambina di quasi un anno. E’ un europeista a tutto tondo. Non faccio molto testo, sono parte di una piccola comunità di studiosi dell’integrazione affezionati al loro oggetto di ricerca. Sei uno studioso ma il tuo lavoro mostra uno spiccato senso pratico. Secondo me la via da seguire al momento è quella di valorizzare quello che già abbiamo (ed è tanto) e lavorare su cambiamenti forse meno sensazionali ma che possono portare a risultati importanti in termini avvicinare la cittadinanza alle istituzioni europee — in ultima analisi migliorando la qualità della democrazia dell’Unione europea. I cittadini devono poter contare più di quanto contano ora e devono potersi sentire importanti. Questo si può fare a diversi livelli: per esempio incoraggiando il rafforzamento delle strutture di partito europee, creando una competizione elettorale davvero transnazionale, promuovendo l’educazione civica europea nelle scuole, stabilendo politiche che rendano l’Unione europea visibile nella vita dei cittadini — penso ad esempio alle ipotesi di un’assicurazione europea contro la disoccupazione — e infine lavorando sulla creazione di uno spazio pubblico europeo. Sono proposte concrete. Da parte mia, con EuVisions, sto provando a contribuire in particolare a quest’ultimo aspetto, cercando di creare dei ponti tra accademia, politica e cittadinanza. L’obiettivo è strappare il monopolio della “politicizzazione” dell’integrazione europea dalle mani dell’euroscetticismo e del populismo e generare una politicizzazione più virtuosa della Unione europea. In che modo? Principalmente cercando di promuovere tra chi ci segue la conoscenza della Unione europea, di ciò che fa, di come lo fa ecc. affinché il discorso politico sui temi europei sia il meno possibile distorto e il più possibile informato. La politicizzazione dell’Unione europea è sacrosanta – anzi, è un buon segnale – ma per essere una forza virtuosa il dibattito e la competizione politica devono (anche) essere sul merito delle alternative di policy (e dei valori) sovranazionali. Verso un’unione politica. Desidererei vedere un’Europa in cui la generazione di mia figlia sia accomunata da un bagaglio culturale fatto di tolleranza, libertà, democrazia e solidarietà. Unita da una lingua franca e partecipe di processi e istituzioni politiche che promuovano la crescita economica, tecnologica e culturale. Una comunità. A proposito, è un fatto che non tutti gli Stati dell’Unione europea hanno la stessa voglia di unione politica. Molti non hanno la minima intenzione di andare oltre il mercato unico. Altri, almeno una decina, tenendosi stretto il mercato unico che rimane una conquista importantissima, iniziano a manifestare, chi timidamente chi più apertamente, la volontà di andare oltre l’Unione europea. Il tempo stringe e l’occasione è preziosa. L’idea di una comunità fondata su una vera unione politica di cittadini europei è realizzabile.

    p.s.

    ai nuovi avventori, agli incalliti frequentatori,

    il Bar Europa ogni venerdì si fa rock al Rock Night Show

     

    Tags: bar europaculturaeuroscetticieuvisionsgiovaniglobalizzazioneidentitàradici europeesiamo europeistati uniti d'europa

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