Bruxelles – “In particolare, sono state accertate irregolarità quali, a titolo esemplificativo:
– operazioni relative a progetti presentati dopo la scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione;
– spese di personale non correlate al tempo effettivamente impiegato per i progetti;
– consulenti esterni privi delle qualifiche richieste;
– giustificativi di spesa insufficienti;
– spese non attinenti ai progetti;
– esecuzione delle attività non conforme alla descrizione dei progetti;
– violazione delle procedure di appalto e di selezione di docenti, esperti e fornitori”.
Iniziare una articolo con una citazione spesso non è la scelta migliore, ma in questo caso ci sta. Quello che abbiamo riportato lo scrive il Tribunale dell’Unione europea nella sua sentenza con la quale, oggi, respinge il ricorso dell’Italia contro la decisione della Commissione Ue di tagliare quasi 380 milioni di aiuti in Fondi europei alla Sicilia per le violazioni che abbiamo elencato nell’utilizzo dei Fondi da parte delle amministrazioni della Regione.
Un disastro insomma, una storia di malgoverno, corruzione, familismo, se non peggio, accaduta nei primi anni 2000, fino al 2005, quando a Bruxelles si sono accorti che qualcosa in Sicilia nella gestione dei fondi europei non funzionava a dovere.
Una serie di decisioni della Commissione prevedevano una partecipazione dei fondi strutturali di 1.209.241.572 miliardi, con un cofinanziamento del Fondo sociale europeo (Fse) di importo massimo pari a 846.469.000. Un mare di soldi.
Come di regola, a partire dal 2005, la Commissione ha effettuato vari controlli (“audit”) dei sistemi di gestione e controllo predisposti dalle autorità responsabili del Piano Operativo Regionale Sicilia, all’esito dei quali, ricorda il Tribunale, “ha riscontrato gravi carenze nella gestione e nei controlli dell’intervento finanziario nonché varie irregolarità in diverse operazioni (alcune accertate dall’Olaf – organismo anti frode europeo). L’elenco è nell’apertura del nostro articolo.
Nel dicembre 2015 la Commissione ha ritenuto che, “a causa delle irregolarità singole e sistemiche constatate”, il contributo finanziario all’intervento in questione dovesse essere ridotto di 379.730.431,94 euro, (di cui 265.811.302,29 a carico del Fse).
Il governo italiano non era d’accordo, e presentò un ricorso, chiedendo l’annullamento della decisione, sostenendo in sostanza che gli audit erano stati condotti male, travisando i fatti e che la decisione di tagliare i fondi non era sufficientemente motivata.
Il Tribunale, oggi, “rigetta integralmente il ricorso dell’Italia, evidenziando come quest’ultima non abbia dimostrato l’erroneità della decisione della Commissione o del procedimento da essa adottato”. E anzi, aggrava la situazione sostenendo “come sia innegabile l’esistenza di errori sistemici, imputabili a insufficienze nei sistemi di gestione e di controllo del Por Sicilia, che si sono manifestati nel corso di diversi esercizi finanziari e ai quali non è stato posto del tutto rimedio fino alla fine della programmazione”.
Lo Stato membro interessato, spiega il Tribunale, “per contrastare la Commissione deve dimostrare l’esistenza di un sistema di controlli affidabile e operativo”. Cosa che l’Italia, non è riuscita a fare, anche se, come scrivono i magistrati europei, la decisione della Commissione “è stata assunta con il pieno coinvolgimento dell’Italia nel procedimento”.
“La sentenza è uno schiaffo a tutti i siciliani onesti. Bisogna fare chiarezza e recuperare gli errori del passato. Per questa ragione ho presentato una interrogazione alla Commissione Europea per capire quali saranno le conseguenze e anche lo stato di eventuali irregolarità della programmazione 2007- 2013. La Sicilia rischia uno scenario terrificante con un’importante riduzione dei 4 miliardi di fondi europei certificati da Crocetta e il conseguente blocco della programmazione”, così commenta la sentenza l’europarlamentare del Movimento 5 Stelle Ignazio Corrao.