Forse è arroganza, forse tattica negoziale, forse solo incompetenza. Fatto sta che il governo di Londra appare deciso ad infilarsi in un cul de sac nei suoi rapporti con l’Unione europea.
Le accuse di incompetenza fioccano da ogni dove verso il governo guidato da Boris Johnson, che ha drammaticamente tardato ad esempio nella gestione della pandemia da Coronavirus, decidendo di intervenire con decisione solo dopo che lo stesso premier era stato ricoverato. O che ha gestito in maniera per lo meno sospetta gli esami di maturità di quest’anno, mettendo migliaia di studenti (casualmente in gran parte quelli delle scuole meno prestigiose) nella quasi impossibilità di accedere alle migliori università.
Nel negoziato con l’Unione europea per l’accordo di separazione che in teoria dovrebbe essere in piedi al più tardi per il primo gennaio prossimo, quando la fase transitoria della Brexit sarà terminata, notiamo però forse le peggiori prestazioni. Un muro contro muro, in sostanza, il rifiuto di qualsiasi riconoscimento di una “parità di condizioni”, un atteggiamento certamente aggressivo e probabilmente sciovinista stra rendendo impossibile un accordo. Il rischio è che, tra meno di quattro mesi, Regno Unito e Unione europea siano due estranei, come forse non è quasi nessun Paese del Mondo con l’UE. Non ci saranno accordi per il movimento delle persone, ci saranno dazi WTO automatici sulle merci, niente sui mercati finanziari, nessuna intesa sulla pesca. E nessuna intesta sull’Irlanda del Nord, forse il tema più delicato.
In base all’accordo di recesso, la regione continuerebbe ad avere collegamenti senza vincoli doganali con la Repubblica irlandese, e nuovi confini doganali dovrebbero essere creati nel Mare d’Irlanda. Ma Londra si prepara a cancellare questo accordo. Una legislazione in fase di definizione punta a questo in caso di mancata intesa generale. E la cosa è contro il diritto internazionale.
Il governo britannico però non se ne preoccupa, e con un atteggiamento sorprendente Brandon Lewis, il segretario di Stato per l’Irlanda del Nord ha detto ieri che la norma “violerebbe il diritto internazionale”, ma che lo farebbe solo “in maniera specifica e limitata”. Arroganza, ignoranza, tattica negoziale? Con il rischio di far saltare l’accordo del Venerdì Santo (che ha riportato la pace nell’area dopo una scia di decenni di morti) certo non si può trattare di una semplice tattica negoziale, che rischia di essere pagata sulla pelle dei propri concittadini. Non ci possiamo credere. Arroganza e ignoranza (le due cose spesso vanno di pari passo) invece sì, possono esserci e probabilmente ci sono.
Benché non ci siano “punizioni” automatiche per chi venga ritenuto colpevole di violare il diritto internazionale, ed anche al netto eventuali sanzioni che altri Paesi potrebbero prendere contro il Regno Unito in caso di riconosciuta violazione della legge, un Paese che firma un accordo, poi lo ignora, anche al prezzo di violare il diritto internazionale che credibilità può avere sullo scenario internazionale? Come potrebbero le persone, le aziende, gli Stati, continuare a fidarsi di Londra?
Già da anni, dai tempi del referendum la Gran Bretagna non è più quel polo attrattivo che era stato per secoli: le università sono a corto di studenti stranieri, le aziende stanno delocalizzando in particolare verso l’Unione europea (mercato comunque più grande e meglio regolato) le stesse società finanziarie stanno abbandonando Londra, che se non trova un accordo con l’UE non sarà più in grado di offrire la “patente” per operare nell’Unione.
Boris Johnson ha probabilmente deciso che non vuole un accordo, che vuole, di fatto, impedire a Bruxelles di negoziare, perché non lo si può fare con un partner che non rispetta le regole. Forse guarda a Washington con troppa fiducia. L’economia USA non corre più come un treno, e l’unico vero interesse di Donald Trump nei suoi amichevoli messaggi a Londra (che a dire il vero da qualche tempo non si sentono più) è quello di indebolire l’Unione, non di rafforzare il Regno Unito.
Un cul de sac.