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    Home » Politica Estera » La Svizzera al voto. In gioco c’è la libera circolazione delle persone con l’UE

    La Svizzera al voto. In gioco c’è la libera circolazione delle persone con l’UE

    Alle urne per proncunciarsi sull'iniziativa dei cittadini che ne chiede la cancellazione. Per il comitato promotore la confederazione è vittima di immigrazione di massa che genera disoccupazione. In caso di affermazione del 'Si' il governo svizzero dovrà negoziare la fine dell’accordo con l’UE entro 12 mesi

    Anita Bernacchia</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/@AnitaEflak" target="_blank">@AnitaEflak</a> di Anita Bernacchia @AnitaEflak
    25 Settembre 2020
    in Politica Estera

    Bruxelles – Il 27 settembre i cittadini svizzeri tornano alle urne, dopo un rinvio elettorale di quattro mesi dovuto alla pandemia. Tra gli oggetti della consultazione elettorale, l’iniziativa popolare “Per un’immigrazione moderata (Iniziativa per la limitazione)”. Scopo: porre fine alla libera circolazione delle persone con l’UE.

    Sembra paradossale, considerando gli i buoni rapporti bilaterali storici tra la Confederazione elvetica e l’UE, suggellati dagli Accordi Bilaterali I in vigore dal 2002. Si tratta di 7 accordi, tra cui l’Accordo di Libera Circolazione (ALC), approvati dal popolo svizzero a larga maggioranza nel 2000, che garantiscono al Paese l’accesso al mercato europeo, la libera circolazione delle persone e ai cittadini svizzeri di vivere, lavorare e studiare nell’UE. Viceversa, garantisce ai cittadini UE le stesse possibilità. I risultati sono apprezzabili: nel 2019 la Svizzera ha diretto il 50% delle esportazioni verso l’UE, mentre oltre il 60% delle importazioni originava dall’Unione.

    Gli accordi sono legati tra loro dalla clausola ghigliottina: se un accordo cade cadono anche gli altri. Ed è su questo che puntano i partiti del comitato promotore, che alimentano da anni malumori latenti degli svizzeri nei confronti dei tanti cittadini UE che risiedono nel Paese (1,4 milioni). Parliamo ad esempio dell’UDC (Unione Democratica di Centro), partito di destra nazionalista ed euroscettico, che ha promosso l’iniziativa in questione insieme all’ASNI (Associazione per una Svizzera neutrale e indipendente).

    Il comitato sostiene che da troppi anni la Svizzera stia assistendo a un’immigrazione di massa, che genera disoccupazione e compromette il benessere e la sicurezza dei cittadini elvetici, e che di questo siano responsabili gli Accordi Bilaterali.

    Cosa accadrebbe se vincesse il Sì?

    Il Consiglio Federale, ovvero il governo svizzero, dovrà negoziare con l’UE un modo per porre fine all’Accordo sulla libera circolazione (ALC) entro 12 mesi. Se i negoziati falliranno, l’accordo cesserà unilateralmente entro soli 30 giorni.

    Guardando un po’ indietro, si nota che l’iniziativa richiama quella del 9 febbraio 2014, quando gli svizzeri si erano espressi su un’altra iniziativa, promossa sempre dall’UDC, che intendeva introdurre nella Costituzione un articolo che regolamentasse la libera circolazione dei lavoratori stranieri.

    In quel caso, aveva vinto per poco il Sì (50,3%), e l’afflusso alle urne era stato tra i più alti degli ultimi cinque anni (56%). Secondo i risultati, la Svizzera avrebbe dunque dovuto limitare autonomamente l’immigrazione e rinegoziare l’accordo di libera circolazione con l’UE (alla Svizzera si applicano le regole dell’area Schengen). Ma l’Unione era stata ferma nel ribadire che  valevano gli accordi bilaterali, imponendo a Berna un ‘aut-aut’ richiamandosi alla clausola ghigliottina per cui se un accordo viene meno vengono meno anche gli altri.

    Negli ultimi sei anni la Svizzera ha comunque dato un’attuazione blanda di quell’articolo. Ecco perché il comitato promotore dell’iniziativa per la limitazione chiede ora di abolire del tutto l’accordo sulla libera circolazione. Tra gli iniziatori del comitato c’è Norman Gobbi, capo del Dipartimento delle istituzioni del Canton Ticino, unico Cantone dove potrebbe vincere il Sì, e membro della Lega Ticinese, partito che si ispira alla Lega italiana. A suo dire, l’UE non oserebbe attivare la clausola ghigliottina, perché avrebbe troppo da perdere.

    Come si posiziona il resto dei partiti politici?

    Il gruppo dei promotori è piuttosto isolato, essendo tutti gli altri partiti contrari, comprese le associazioni di categoria. In Svizzera, Paese in cui vige la democrazia consociativa, queste ultime, come anche i sindacati, sono altrettanto importanti dei partiti.

    Il Consiglio Federale e il Consiglio degli Stati raccomandano di votare NO all’iniziativa popolare, ribadendo l’impegno della Svizzera ad approfondire le relazioni bilaterali con l’UE.

    L’iniziativa è facilitata dal fatto che il numero di firme necessario per indirla è molto basso. Può essere letta come una polizza di assicurazione del popolo.

    Su scala nazionale, si stima al 60% la vittoria dei NO. Nel Ticino di Gobbi, il Sì e il NO sarebbero testa a testa. Certo è che una vittoria del Sì nel solo Ticino, pur non vendo valore giuridico, invierebbe un chiaro segnale politico a Berna.

    C’è dunque da aspettarsi che il referendum fallirà, perché il governo della Svizzera intende preservare il sistema previsto dagli accordi bilaterali, derivati, in ultima analisi, dall’abbandono dell’adesione allo Spazio Economico Europeo. Non solo: vorrebbe concludere con l’UE altri accordi, ma per farlo sarebbe necessario un accordo quadro, che includerebbe, tra l’altro, accettare la giurisdizione della Corte di Giustizia UE.
    C’è da dire che la Svizzera, insieme a Norvegia, Islanda e Principato del Liechtenstein, applica già nella sua interezza le normative Schengen e Dublino, relative rispettivamente alla libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali, e alle regole comuni in materia di asilo.

    Il fallimento del referendum dovrebbe agevolare una ripresa del dialogo con l’UE, in parte congelatosi a seguito del rifiuto da parte della Commissione europea di rinnovare l’equivalenza borsistica alla Svizzera dopo il 30 giugno 2019. Questa era stata concessa dalla Commissione Juncker per il solo 2018, con la promessa di una prorogata soltanto se la Svizzera avesse acconsentito a concludere l’accordo quadro, molto voluto dall’UE.

    Il governo svizzero, nel rispetto della legge elvetica, aveva mandato il testo dell’accordo in consultazione per sei mesi, e l’UE aveva prorogato l’equivalenza fino al 30 giugno 2019. Ma trascorso questo periodo, il governo svizzero si era limitato a chiedere dei semplici chiarimenti sull’accordo, senza sottoscriverlo, provocando così il mancato rinnovo dell’equivalenza da parte della Commissione.

    Al momento, i rapporti bilaterali tra le due parti sono alquanto freddi. L’UE è in attesa che il governo svizzero, che per altro stenta a trovare una maggioranza al suo interno, assuma una posizione definita. Ad ogni modo, prima che venga trovata una soluzione su Brexit, non è pensabile che si giungerà a una soluzione. I risultati delle consultazioni elettorali sono attesi per il tardo pomeriggio di domenica 27 settembre.

    Tags: equivalenza borsisticainiziativa del 9 febbraioiniziativa popolarelibera circolazioneNorman Gobbireferendumsvizzeraunione europea

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