Bruxelles – Non ci sarà transizione ‘verde’ senza una riconversione a lungo termine del modo in cui l’Unione Europea produce, distribuisce e consuma il cibo sulle tavole. Tra i pilastri del Green Deal, la Farm to Fork è la strategia che punta a una transizione verso un sistema alimentare sostenibile, dove per sostenibilità si intende non solo quella ambientale ma anche sociale ed economica della filiera agroalimentare. 27 azioni che per la Commissione europea serviranno a favorire il passaggio ad una produzione alimentare verde, una dieta più equilibrata con una riduzione degli sprechi alimentari, cercando di ridurne anche l’impatto sull’ambiente.
Nessuno mette in dubbio che una transizione verde sia necessaria, anche nella filiera agroalimentare. Ma da quando la strategia è stata pubblicata dalla Commissione europea a maggio di un anno fa sono state sollevate più di una preoccupazione su quale sarà il futuro dei settori coinvolti, tra cui la filiera zootecnica che produce carne e latte. Da questa riflessione ha preso le mosse l’ultimo Smart Event ‘Food and Farming: what future for Europe?’ (Alimentazione e Allevamento: chi decide il futuro per l’Europa?), organizzato da Eunews in collaborazione con Carni Sostenibili, l’organizzazione italiana delle associazioni dei produttori di carni e salumi, e di European Livestock Voice, l’organizzazione degli organismi europei della filiera zootecnica.

Un fatto è certo. “Non riusciremo a raggiungere l’obiettivo di transizione” verso un modello di produzione più sostenibile “senza avere dalla nostra parte la filiera zootecnica, come settore centrale dell’agroalimentare dell’UE”. Lo riconosce Claire Bury, Direttrice generale aggiunta della DG SANTE della Commissione Europea, aprendo il dibattito ricordando che la Farm to Fork è la chiave del Green Deal per trasformare il settore agroalimentare, per renderlo più giusto, salutare e ambientalmente sostenibile. Precisa che Bruxelles è ben consapevole del ruolo della filiera zootecnica nella transizione, come una parte importante dal punto di vista economico e dei posti di lavoro di tutto il settore agricolo. Non per questo non si può negare che il settore abbia alcuni aspetti negativi sull’ambiente, dalla produzione di gas serra all’impatto sulla biodiversità come anche migliorare gli standard di benessere animale, che dovranno essere migliorati nella transizione. In sostanza, la sfida è “quella di ridurre gli aspetti negativi della filiera e invece ottimizzare quelli positivi”, tenendo a mente che la Farm to Fork non vuole imporre una visione semplicistica della produzione e del consumo: non è “una lotta tra carne e dieta vegetale, tra produzione intensiva o estensiva ma la promozione di un sistema ben equilibrato”, senza quindi target specifici sui consumi di carne o di altri alimentari. La filiera zootecnica è “una parte importante della soluzione, non del problema”, conclude Bury con un invito al settore a “lavorare con noi per il cambiamento, tutti insieme”.
Rischio di un approccio solo ideologico
Essere parte attiva del dibattito sulla sfida della sostenibilità aperta dalla Farm to Fork è quello che chiede la filiera zootecnica europea che ha lanciato un forte appello alle istituzioni di Bruxelles. Con il video-appello promosso contemporaneamente in 7 Paesi europei (Italia, Belgio, Francia, Spagna, Germania, Portogallo e Polonia) lo scorso 25 marzo, Carni Sostenibili e European Livestock Voice hanno voluto proprio mettere in evidenza come la strategia Farm to Fork non stia considerando in modo realistico le sfide del settore zootecnico, chiedendo inoltre di essere pienamente coinvolti nel dibattito in corso. E l’incontro virtuale di oggi (5 maggio) è stata l’occasione per ribadire il punto.

Se la Farm to Fork è un’opportunità unica per la filiera agroalimentare, “c’è il forte rischio che questa transizione verde non sia guidata solo da numeri e dalla scienza ma da approcci ideologici”, ha messo in guardia Luigi Scordamaglia, presidente Assocarni, secondo cui facendo prevalere un approccio solo ideologico la transizione si trasformerebbe da un’opportunità unica a una sconfitta tanto per i produttori quanto per i consumatori europei. Il video appello – ricorda Scordamaglia – ha cercato proprio di “dare risposte razionali”, sfatare miti a una serie di preconcetti che sono stati attribuiti alla carne, al latte e ad altri prodotti di filiera zootecnica individuando – come suggerisce il titolo – 9 paradossi della strategia europea.
Tra tutti il paradosso ambientale: spesso l’allevamento, soprattutto quello intensivo, viene considerato responsabile di un grande quantitativo di emissioni di CO2 nell’atmosfera, mentre in Europa rappresenta il 7,2 per cento di emissioni di gas a effetto serra, meno della metà della media mondiale (14,5 per cento). Mentre gran parte delle emissioni deriva dall’uso di combustibili fossili impiegati nel trasporto e nelle industrie. Ciò che sottolinea con forza Scordamaglia è che è giusto impegnarsi a cambiare la dieta, ma “dobbiamo cambiare anche le nostre abitudini”. Per diventare sostenibili non c’è per forza bisogno di tornare indietro, citando alcuni risultati dell’Italia (-20% di fitofarmaci tra 2010-2017, -15% di fertilizzanti chimici, -11,5% di gas serra nel settore agricolo dal 2000) a far da sostegno della sua tesi. Riconosce che c’è ancora molto margine di miglioramento tanto per l’impatto ambientale che per il benessere animale, con il rispetto di norme sempre più rigide richieste da Bruxelles. E una grande opportunità sarà sfruttare adeguatamente i “700 milioni dal” Recovery plan che l’Italia ha presentato a Bruxelles alla fine della scorsa settimana che dovranno andare proprio verso “la modernizzazione della filiera”. Nei fatti, però, è fondamentale che la Farm to Fork sia attuata “dentro e con le filiere, e non contro di loro”.

Non obiettivi ideologici, ma una vera valutazione di impatto basata sui dati della strategia. Una necessità che viene sollevata anche da Herbert Dorfmann, eurodeputato del Partito popolare europeo (PPE) della commissione per l’Agricoltura (AGRI) e relatore per la posizione parlamentare della Farm to Fork. Dorfmann scandisce bene l’agenda dell’iter legislativo che la proposta della Commissione sta affrontando e dovrà affrontare nei prossimi mesi: l’atto è attualmente all’esame del Parlamento europeo e in particolare delle commissioni per l’Ambiente e per l’Agricoltura e il voto è atteso per l’inizio di giugno con la speranza di riuscire a ottenere il via libera in seduta plenaria a luglio.
Il lavoro per il momento “procede bene”, conferma l’eurodeputato ricordando l’importanza di tenere conto nella transizione tanto dei bisogni in termini di sostenibilità e biodiversità, ma anche delle richieste dei consumatori e dell’impatto che “le nostre azioni politiche avranno su di loro”, sia dal punto di vista economico che sociale. Come ripetuto da Scordamaglia, ritiene che l’Unione europea “debba agire sulla base della scienza e non solo dell’ideologia”, dice sottolineando che nella strategia “ci sono parti che considero solo ideologiche”. Sui prodotti di filiera zootecnica è importante ricordare che “è una scelta di consumatori decidere se mangiare carne o meno”, sta ai consumatori e non all’Europa deciderlo. Troppo semplicistico dire che un tot di emissioni di gas serra vengono dagli allevamenti, ma raccomanda di “comprendere meglio l’impatto delle emissioni del bestiame e della produzione degli allevamenti rispetto ad altre attività quotidiane” perché l’allevamento è in Europa una grande fonte di nutrienti, che non può essere soppressa.

Via l’approccio solo ideologico dalla Farm to Fork, è il richiamo di Pekka Pesonen, Segretario generale Copa-Cogeca, l’alleanza delle due grandi organizzazioni ombrello che rappresentano gli agricoltori europei. Ricorda che nel Green Deal e soprattutto nella Farm to Fork, la Commissione ha fissato target molto ambiziosi “ma noi chiediamo concretamente gli strumenti per come arrivare a centrare quegli obiettivi. Agli agricoltori serve assistenza seria, per gli investimenti verso una produzione più sostenibile”, ha ricordato. La Strategia, dunque, andrà costruita su di loro “e non su un approccio ideologico”. E il rischio – mette in guardia Pesonen – è che la politica di Bruxelles non tenga conto della realtà a cui va incontro il settore, nel fissare questi target. Per questo, anche la Copa-Cogeca spinge per una valutazione d’impatto seria su questa Strategia, ricordando che sono la maggior parte delle imprese nel Continente che hanno avuto cambiamenti nella produzione per renderla sostenibile, sono poche a non aver fatto cambiamenti.
Nel rispondere alla richiesta sollevata da tutti di una valutazione di impatto, Bury ha chiarito che ciascuna azione avrà una propria valutazione di impatto, che invece non c’è per tutta la strategia.

Di contro, c’è chi ha ricordato che l’Unione Europea è oggi a uno spartiacque sul clima e sui cambiamenti climatici. “Un momento storico”, lo definisce Jytte Guteland (S&D), eurodeputata della commissione per l’Ambiente (ENVI) relatrice per la legge clima che ha da poco finalizzato un accordo politico sugli obiettivi climatici al 2030 e 2050. La legge sul clima non riguarda solo la neutralità dal carbonio al 2050 ma tutti i passi da compiere per arrivarci in cui “tutti i settori europei dovranno essere coinvolti da questa transizione”. E soprattutto è imperativo che tutti facciano di più per arrivarci, ne vale della leadership climatica dell’UE. Così anche la filiera zootecnica e in particolare la produzione della carne che ad “oggi non è sostenibile”, riassume la socialdemocratica Guteland, che sull’argomento ha una posizione molto più radicale. Al di là del fattore ideologico, per la deputata “ci sono tanti studi che dicono quanto la produzione della carne abbia un impatto sulla produzione di emissioni, e se è vero che ora ci sono tecniche per ridurle, è d’obbligo che dobbiamo mangiarne di meno”, e dall’UE “non dovrebbe passare altro tipo di messaggio”.
Consapevole che attuare la transizione non sarà facile, ricorda il ruolo essenziale della riforma della Politica agricola comune (PAC) – in corso di negoziati a Bruxelles per entrare in vigore dal primo gennaio 2023 – che “può aiutare gli agricoltori a questa transizione verde” attraverso le risorse degli eco schemi. La pandemia ha reso evidente che “agricoltori e lavoratori nella filiera alimentare sono eroi e per questo ancora più importante che abbiano un sistema resiliente” alle future crisi alimentari o sanitarie. Come la Commissione, Guteland è convinta che questi lavoratori siano una !parte essenziale della soluzione, non del problema” e che quindi debbano beneficiare del sostegno politico di Bruxuelles.
Un sostegno politico, ma soprattutto una coerenza delle politiche messe in campo di Bruxelles. Che tenga conto di tutti gli attori della filiera in questo dibattito ancora tutto aperto per la transizione verde del sistema agroalimentare europeo e, come emerso a più riprese nel confronto tra filiera di settore, Commissione e Parlamento di oggi, che la dimensione della sostenibilità non può essere misurata solo in termini climatici e ambientali, ma soprattutto gli aspetti sociali ed economici, per “non lasciare indietro nessuno”. Come vuole il Green Deal europeo.
In questo video la registrazione di tutto l’evento.