Bruxelles – Un applauso fragoroso. E’ quello che segue in sessione plenaria a Strasburgo il duro attacco di Ursula von der Leyen nei confronti della controversa legge ungherese che vieta di affrontare temi legati all’omosessualità in contesti frequentati dai minori, come le scuole. Uno dei temi affrontati dai capi di Stato e governo all’ultimo Consiglio europeo del 24 e 25 giugno, insieme al premier di Budapest Viktor Orban. “L’omosessualità posta alla stesso livello della pedofilia, come pretesto per discriminare l’orientamento sessuale delle persone. Questa legge è vergognosa”, ribadisce la presidente della Commissione Europea di fronte all’Aula. “E contraddice i valori dell’unione europea: protezione delle minoranze, della dignità umana, dell’uguaglianza. Questi valori si trovano ancorati nell’articolo 2 del Trattato di Lisbona” e come garante dei Trattati, la Commissione promette che sfrutterà “tutti gli strumenti a disposizione dell’esecutivo per difendere questi valori fondamentali”.
Come? La Commissione ha già scritto alle autorità ungheresi sulle loro preoccupazioni giuridiche, ma se Budapest “non aggiusterà il tiro, la Commissione userà i poteri di cui dispone”. La tedesca cita circa 40 procedure di infrazione legate allo stato di diritto aperte da quando il collegio che guida si è insediato nel 2019, “se necessario ne apriremo altre. Non possiamo rimanere a guardare, non lasceremo mai che una parte della nostra società sia stigmatizzata a causa di quello che pensa, delle opinioni politiche o religiose che ha. Non dobbiamo mai dimenticare che quando difendiamo una parte della nostra società, difendiamo la libertà dell’intera comunità”, ha detto.
Gli strumenti della Commissione per proteggere i fondi europei
Il tema della protezione dei valori, si lega anche alle risorse del Bilancio comunitario e del fondo di ripresa. Una buona parte dei negoziati sul bilancio si è giocato proprio sulla introduzione di un nuovo meccanismo volto a proteggere e rafforzare in maniera adeguata i valori dell’Unione europea da carenze generalizzate da parte degli Stati membri, collegandolo alle risorse del bilancio a cui da quest’anno (e in modo inedito) si legano i 750 miliardi di euro del Next Generation EU. “Non è una questione astratta, sono soldi dei contribuenti europei”, dice von der Leyen. Oltre a questo meccanismo di condizionalità, gli strumenti a disposizione dell’Esecutivo comunitario per “punire” gli Stati che si allontanano dal perimetro dei valori democratici sono le procedure di infrazione e l’opzione ‘nucleare’ prevista dall’articolo 7 del Trattato di Lisbona, ovvero la sospensione del diritto di voto, a cui da un anno si è aggiunta la pubblicazione annuale di una relazione di natura “preventiva” sullo stato di diritto in Europa, per monitorare passo passo l’eventuale degenerazione della situazione.
Il meccanismo di condizionalità rimane però ancora in sospeso, pendente in attesa di una decisione della Corte di Giustizia europea. “Nel frattempo i nostri funzionari stanno esaminando come applicare il meccanismo di condizionalità”, dice von der Leyen secondo cui i primi file saranno aperti già a ottobre. “Dobbiamo fare in modo che i fondi siano applicati nella maniera più giusta possibile”. Il piano nazionale di ripresa e resilienza di Budapest intanto sembra appeso a un filo. Secondo l’Ansa, che cita l’agenzia tedesca DPA, il Berlaymont sta valutando una sospensione della valutazione del piano di Budapest (in valore 7,2 miliardi di euro dal Next Generation EU) dal momento che “non sarebbero sufficienti le misure di precauzione per evitare abusi nelle spese dei fondi”. Von der Leyen non anticipa nulla a riguardo durante l’intervento in plenaria, ma precisa solo che nel valutare i piani nazionali di ripresa la Commissione sta valutando attentamente il sistema di governance, le misure anticorruzione e la lotta alla frode.

Come detto, i capi di stato e governo ne hanno già discusso allo scorso vertice del 24 e 25 giugno. “E’ raro che una riunione dei capi di Stato e governo si metta a parlare di valori dell’Unione Europea”, ha precisato anche Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, intervenuto al dibattito in plenaria. “Discutere di valori non è un fatto abituale” per il Consiglio europeo, ma la legge ungherese “suscita preoccupazioni tra molti leader”, ha detto Michel. Aggiunge che tutti i diritti anche quelli LGBTQI+ non possono essere considerati una questione marginale. “Nell’Unione Europea non discriminiamo, ma proviamo a integrare”, aggiunge parlando della Conferenza sul futuro dell’Europa come del luogo adatto a “discutere dei nostri valori”.
La risoluzione in Parlamento
Le parole dei vertici europei trovano il sostegno dell’emiciclo del Parlamento, che si appresta a votare durante questa sessione plenaria (5-8 luglio) una risoluzione “sulle violazioni del diritto dell’UE e dei diritti dei cittadini LGBTIQ in Ungheria“. “La legge discriminatoria in Ungheria richiede una forte reazione da parte dell’Europa, Orban non è solo e la sua propaganda omofoba riecheggia in altri paesi”, avverte la capogruppo dei Socialisti e Democratici, Iratxe Garcia Perez, per la quale la “soluzione” non può essere l’uscita dell’Ungheria dall’Unione Europea, ma occorre implementare quanto prima “il meccanismo di condizionalità per tutelare il bilancio dell’Ue”.
“Sosteniamo pienamente la Commissione europea affinché utilizzi tutti gli strumenti necessari per sostenere fermamente i valori europei e le nostre leggi ovunque in Europa”, ha chiarito Manfred Weber, capogruppo del Partito popolare europeo. “I diritti fondamentali non sono oggetto di negoziazione”. Da settimane ormai anche il gruppo dei liberali di Renew Europe chiedeva a von der Leyen la sospensione dei fondi del Recovery di Budapest. “E’ tempo di agire, questo è un passo nella giusta direzione”, dice in plenaria il capogruppo Dacian Ciolos. “I nostri valori vanno protetti”, fa eco anche il co-presidente dei Verdi, Philippe Lamberts.
Quello che ha preso vita oggi al Parlamento europeo “è un dibattito molto discutibile”, secondo Raffaele Fitto, eurodeputato di Fratelli d’Italia nel gruppo dei Conservatori e Riformisti di ECR, motivato dalla vicinanza del partito di Giorgia Meloni con il premier ungherese. “Grave che ci siano interventi molto distanti dagli argomenti di cui dovremmo parlare nelle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo”, come l’immigrazione. Tema caro all’Italia.