Bruxelles – L’ultimo atto prima di calare il sipario. Dopo la sconfitta elettorale che ha portato alla fine del governo di Sanna Marin, il commiato politico della quasi ex-premier della Finlandia è vedere il proprio Paese diventare un nuovo membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, il 31esimo per l’esattezza. E, con il mandato in scadenza il prossimo ottobre, anche per il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, la giornata di oggi (4 aprile) è un po’ come un canto del cigno, anche se meno amaro rispetto a quello della premier finlandese che ha voluto e spinto per l’ingresso di Helsinki nell’Alleanza: “Oggi è un giorno storico, era difficile immaginare di celebrare in modo migliore l’anniversario della firma del Trattato del Nord Atlantico a Washington nel 1949″.
Sventola la bandiera con la croce blu su campo bianco fuori dal quartier generale della Nato a Bruxelles e Stoltenberg si dice “orgoglioso di essere il segretario generale che accoglie la Finlandia nell’Alleanza”. Lo è non solo perché il Paese scandinavo “è importante per la regione nordica e baltica, basta guardare la cartina”, ma soprattutto perché “sono norvegese e, lavorando per molti anni con i leader finlandesi, sembrava una cosa impensabile”. Quanto accaduto oggi invece “dimostra che è un Paese indipendente e sovrano che fa le proprie scelte autonomamente” e allo stesso tempo che la Nato “è un’Alleanza democratica, aperta a Paesi democratici”, ha rimarcato Stoltenberg parlando con la stampa. Se dal 4 aprile 2023 “l’articolo 5, quello che stabilisce ‘uno per tutti, tutti per uno’, vale anche per la Finlandia”, la causa è da ricercare nell’invasione russa dell’Ucraina: “La brutalità della guerra ha fatto ricordare a Helsinki la campagna d’inverno [la breve invasione da parte dell’allora Urss nel 1939, ndr]”, dal momento in cui “Putin non ha minacciato solo l’Ucraina, ma tutte le nazioni europee che vogliono fare scelte autonome“. E “anziché meno Nato, ha avuto più Nato”.
Per una Finlandia che entra, c’è una Svezia che rimane ancora in attesa della ratifica del Protocollo di adesione da parte di tutti i Paese membri della Nato. O, più precisamente, da parte dei Parlamenti di Turchia e Ungheria: “Anche se Stoccolma è molto vicina a noi dal momento dell’invito [il 29 giugno dello scorso anno, ndr] ed è integrata nelle strutture di difesa, ancora non è un Paese membro a tutti gli effetti e dobbiamo assicurare che lo diventi presto“, è l’esortazione del segretario generale Stoltenberg, che vorrebbe chiudere il proprio mandato vedendo tutta la penisola scandinava sotto l’ombrello dell’Alleanza: “Ho parlato con il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, e abbiamo concordato di ripristinare gli incontri a livello tecnico” tra Ankara e Stoccolma. “Senza la Svezia, la nostra adesione non è completa“, gli ha fatto eco il presidente della Finlandia, Sauli Niinistö, durante la cerimonia di adesione.
Il processo di adesione della Finlandia alla Nato
Per diventare membro della Nato, un Paese (come la Finlandia) deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.

La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale della Nato a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.
Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.